La dittatura dei voti a scuola, mentre lei si pavoneggia

Alla scuola piace pavoneggiarsi per quel suo essere sempre al passo coi tempi, un eterno cantiere aperto, attento alle novità, capace di predire i bisogni educativi del futuro, pronta a cavalcare la robotica e ogni altra magia della modernità. Eppure, a ben guardare, la scuola, al di là di tanti cicalecci, è una delle poche istituzioni pubbliche capace di riprodursi nei decenni sempre simile a sé stessa. Ogni tanto arrivano le riforme epocali – aggettivo usato da politici e addetti ai lavori, solitamente dopo estenuanti negoziati che, di solito, disegnano un maquillage imponente per enfatizzare i cambiamenti e nascondere tutto quel che resterà uguale a prima. Prendiamo il progetto «La scuola che verrà». Lanciato a fine 2014 ha incontrato da subito una frotta di fuochi di sbarramento. Per dire: «È l’ennesimo abbassamento della selettività della scuola. L’abolizione dei livelli porterà ad ulteriori difficoltà nel momento del passaggio nel mondo del lavoro». Oppure: «Ritengo fondamentale ristabilire la meritocrazia, cosa però difficilmente raggiungibile con la soppressione di valutazioni e licenze».

Se il parlamento darà il suo accordo – ma conosciamo gli abbracci malefici che si palesano quasi sempre tra i se e i ma – potrebbe partire sul breve termine la sperimentazione in alcune sedi della scuola dell’obbligo. Detto per inciso, gli istituti in questione non sono particolarmente rappresentativi sul piano scientifico: transeat. L’attuale «Scuola che verrà» non è più la versione originale, pur avendone mantenuto le fattezze iniziali. Il guaio è che il dogma della selettività non appartiene solo agli imprenditori di successo o ai liberisti d’assalto, quelli per i quali il mercato sistema ogni cosa. È sufficiente uno sguardo anche appena disincantato per vedere come tanti insegnanti siano loro compagni di barricata. Fatto sta che l’assioma della nota scolastica resiste alla globalizzazione, al web e a tutti i cambiamenti paradigmatici dell’ultimo mezzo secolo. Senza test e voti non ce n’è né per le scuole che vorrebbero venire, né per l’educazione alla cittadinanza, che rischia di nascere come materia a sé stante, soprattutto grazie alla nota.

È quasi comico, questo amore sviscerato per le valutazioni scolastiche, sintetizzate in un numero, cioè un indicatore che vorrebbe sembrare scientifico, benché sia soggettivo ed evanescente. Ivan Illich, il grande filosofo descolarizzatore, osservava che «Quasi tutto ciò che sappiamo lo abbiamo imparato fuori della scuola. Gli allievi apprendono la maggior parte delle loro nozioni senza, e spesso malgrado, gli insegnanti. Ma il tragico è che i più assorbono la lezione della scuola anche se a scuola non mettono mai piede. È fuori della scuola che ognuno impara a vivere. Si impara a parlare, a pensare, ad amare, a sentire, a giocare, a bestemmiare, a far politica e a lavorare, senza l’intervento di un insegnante. Non fanno eccezione a questa regola neanche quei bambini che sono soggetti giorno e notte alla tutela di un maestro». Infatti, se uno ci pensa, le cose fondamentali la scuola non le valuta, le discipline più importanti non figurano nel libretto scolastico. Come si misurano il senso dello stato, l’etica individuale, la capacità di ascoltare le idee altrui, la forza illuminista di lottare per la libertà, almeno quella delle idee?

Sulle tracce di Don Giovanni con gli allievi di scuola elementare

“Chi son io tu non saprai”: inseguendo l’ombra di Don Giovanni, il più grande ingannatore della terra, a cura di Silvia Demartini e Adolfo Tomasini, con le scelte musicali di Giovanni Galfetti.

[Comunicato stampa della SUPSI]

Giovedì 14 settembre 2017 sarà una giornata speciale per oltre 500 allievi delle ultime classi delle scuole elementari del Locarnese, una giornata in cui avranno occasione di spostarsi in vari luoghi della città (Teatro di Locarno, Piazza Grande, Corte interna del castello visconteo, Chiesa Nuova) sulle orme di un personaggio immortale, un autentico mito, narrato e musicato per secoli dai più grandi autori: Don Giovanni. Ciò accadrà in seno all’evento letterario luganese Piazzaparola (promosso dalla “Società Dante Alighieri” di Lugano, da quest’anno diretta da Yvonne Pesenti Salazar), che, da alcuni anni a questa parte, vanta a Locarno una filiazione di tutto riguardo: un evento d’eccezione dedicato agli allievi e ai loro insegnanti, promosso e sostenuto dal Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI.

Al pubblico verrà proposta, come nelle edizioni precedenti, un’immersione nella narrazione e nella musica (insomma nella cultura più profonda e completa), alla scoperta, questa volta, di un personaggio controverso e misterioso. Questo non verrà banalmente reso “da ragazzi”, ma realizzato “per ragazzi”, cioè pensando alla loro sensibilità, ma, allo stesso tempo, credendo nella curiosità e nello spirito critico dei giovanissimi destinatari, ai quali la letteratura ha molto da insegnare sul mondo di oggi.

Una sfida accattivante, lo si capisce subito. Il titolo della giornata è Inseguendo l’ombra di Don Giovanni, il più grande ingannatore della terra, e il programma (curato da Silvia Demartini e Adolfo Tomasini, con le scelte musicali di Giovanni Galfetti), consiste nel racconto delle avventure del celebre personaggio da parte di tre voci femminili. I loro racconti offriranno un punto di vista moderno e inedito, unendo alla più nota versione di Mozart e Da Ponte elementi precedenti e successivi. Un notevole numero di artisti di qualità, tra cui i musicisti Georgiana Bordeianu, Giovanni Galfetti, Deolinda Giovanettina, Elena Revelant e Mirjana Tadic, e gli attori Sara Giulivi, Jasmin Mattei, Emmanuel Pouilly e Cristina Zamboni, daranno vita alla manifestazione: per conoscerli e apprezzarli, non resta che aggirarsi per Locarno dalle 9.30 alle 15.00 del 14 settembre, e lasciarsi trasportare dalle letture e dalle note. Tutte i luoghi (Teatro, Piazza, Castello, Chiesa Nuova) sono aperti al pubblico. Si ringraziano gli sponsor Città di Locarno e SYZ Banque privée.

Qui è possibile scaricare il programma dettagliato della giornata.

Un’immagine della prima edizione locarnese (2013), dedicata a Giovanni Boccaccio: «Intendo di raccontare cento novelle nel pistelenzioso tempo»

Un bel lavoro di maturità sul tram di Locarno

Due anni fa, durante il rito mattiniero della lettura dei quotidiani, un semplice trafiletto aveva attratto la mia curiosità. Raccontava del lavoro di maturità di una studentessa del liceo di Locarno che aveva vinto il primo premio del concorso svizzero «HISTORIA», un premio che è frutto della collaborazione tra EUSTORY – The History Network for Young Europeans, la Fondazione Scienza e Gioventù e la Fondazione Mercator Svizzera.

Ho ritenuto utile dare risalto e diffusione a questa ricerca, perché l’insegnamento della storia conosce purtroppo tempi grami. Poi, forse, perché quel tram lì, cancellato e smantellato nel 1960, mentre frequentavo la prima elementare, me lo ricordo bene: faceva il paio col trenino della Valmaggia, col quale andavo a Someo a trovare i nonni, e certamente qualche volta devo pure averlo preso.

Sul numero di agosto-settembre 2017 La Rivista dell’editore Dadò ha pubblicato una scheda di quel lavoro, che può essere consultato presso la biblioteca del DFA della SUPSI (Piazza San Francesco, stabile B), o può essere scaricato qui, in due parti (Parte I e Parte II): con i miei complimenti all’autrice della ricerca, Yamina Maggetti di Intragna, oggi studentessa in diritto dall’università di Lucerna.


Il tram arranca su via R. Simen, diretto alla stazione di Sant’Antonio: era il 17 giugno 1959.

LOCARNO – Dalla ferrovia… al tram

«Tra i ciottoli di Piazza Grande è ancora visibile un’antica rotaia. Da bambina, camminandovi sopra, volevo scoprire dove portava. La passeggiata è stata breve, ma mi ha portata a compiere un lungo viaggio. A volte da una piccola curiosità può nascere un grande sapere». Sono parole di Yamina Maggetti, di origini intragnesi, oggi ventunenne e studentessa in diritto all’università di Lucerna. Il lungo viaggio al quale accenna è quello che l’ha portata, da liceale due anni fa, a intraprendere un’appassionante ricerca di storia locale: «Dalla ferrovia… al tram di Locarno. Una storia tipicamente svizzera». Era il suo lavoro di maturità, sostenuto e seguito dai suoi insegnanti, Roberta Lenzi e il compianto Thomas Ron, che si è rivelato una piacevole fatica e che le è pure valso il primo premio del concorso svizzero «HISTORIA».

Scrive Yamina Maggetti: «L’arrivo della ferrovia a Locarno (1874) e l’apertura della linea ferroviaria del Gottardo (1882) concluse un periodo di torpore durato quasi tre secoli. La posizione geografica e il clima mediterraneo diedero il via a tutta una serie di progetti, consegnando la regione, ormai definita le village où l’on s’endort, alla nascente industria dei forestieri. Il Grand Hotel, il Reber, l’Hotel du Parc, l’Esplanade e altri alberghi concorsero a imporre il Locarnese tra i più ambiti luoghi di villeggiatura. Tra il 1980 e il 1910, fiorirono molte iniziative: la nascita della Federazione Interessi Regionali FIR, la Banca Svizzero Americana, le arginature della Maggia, la chiusura del canale del laghetto (ex porto del Castello), la centrale elettrica di Brione, la costruzione del Palazzo del Teatro (1902), di molte ville e del Pretorio, che nel 1925 ospiterà la Conferenza della Pace. Un impulso decisivo a questo settore fu dato dal Sindaco della città e Consigliere nazionale Francesco Balli, di origini Valmaggesi, che si attivò con tenacia alla realizzazione di impianti ferroviari nel Locarnese, tra i quali spiccano la ferrovia Locarno-Bignasco, inaugurata nel 1907, e la funicolare della Madonna del Sasso, che entrò in funzione l’anno prima.»

Il 1° ottobre del 1908 la linea tramviaria, completata su tutta la sua lunghezza, venne inaugurata e i tram cominciarono le loro corse regolari. L’entusiasmo per l’innovazione era grande, come si leggeva sul “Popolo e Libertà”: Le tramvie fecero ieri, primo giorno di esercizio, buoni affari. Taluni per la novità della cosa, altri per reale bisogno, altri infine per godersi un po’ di vacanza nella bella giornata di giovedì, ne approfittarono largamente. Esteticamente la circolazione delle vetture tramviarie fa ottima impressione, specialmente lungo la piazza grande di cui rompe la monotonia conferendole l’aspetto civettuolo ed aria di grande città. È opinione generale che se verrà prolungata fino a Tenero la linea tramviaria sarà ancora più utile e anche più redditizia.

Il lavoro della giovane e appassionata studiosa restituisce la storia integrale del tram locarnese, nato per collegare la stazione di partenza della Locarno-Bignasco a quella della compagnia del Gottardo – l’attuale stazione di Locarno delle FFS – ma che, negli anni, vide nascere ed estinguersi altri tracciati. È una storia lunga poco più di mezzo secolo, che magari, al giorno d’oggi, genera pure qualche rammarico, anche perché solo i locarnesi che superano i sessant’anni hanno almeno qualche vago ricordo del tram, quel veicolo sferragliante e scampanellante che scendeva dal gas (via R. Simen), attraversava Piazza Grande, metteva a repentaglio i passanti di via alla Ramogna e poi proseguiva verso la stazione e fin quasi alla Verbanella. Già a metà degli anni ’50 la tramvia locarnese conobbe esigenze di ammodernamento, accanto a costi d’esercizio insopportabili. Ma la “modernità” incombeva.

Il 6 agosto 1957, le FRT comunicarono ai Comuni le condizioni definitive di spesa per l’introduzione dell’autoservizio urbano.  Il 1959 fu l’ultimo anno di servizio dei tram, che assolsero con fierezza e orgoglio, trasportando ben 880’653 viaggiatori: il miglior risultato di tutti i tempi!  Dopo cinquantadue anni di servizio, il 30 aprile del 1960 il tram assicurò le sue ultime corse su un percorso di 4105 metri tra Solduno e l’Esplanade. Una giornata così riassunta dal Giornale del popolo: se ne va un’epoca che ha visto quello che era solo un borgo trasformarsi in città. Loro, gli azzurri trabiccoli, asmatici e rumorosi, oggi sono un po’ anacronismo cospetto al lento e pur continuo progresso che tocca anche la nostra città, ma appartenevano alla nostra vita, alla vita della nostra Locarno. Con loro se ne va perciò un po’ anche di noi stessi. Sono momenti, questi, in cui più particolarmente sentiamo come il tempo sfugge. Addio, dunque vecchi tram.

Ecco perché non si deve banalizzare l’educazione civica

Da tanti anni trepido e, spesso, strepito per la piega che sta prendendo la scuola pubblica – la nostra, ma non solo.

Non sempre mi piacciono quelli che, un giorno sì e l’altro pure, firmano a mitraglia editti e petizioni, e cercano visibilità nei comitati di sostegno a questa o quell’altra causa: un fenomeno che, con l’avvento dei social, è cresciuto in quantità esponenziali. Tuttavia la votazione sull’Educazione civica, alla cittadinanza e alla democrazia mi preoccupa molto e così, stavolta, ho aderito con entusiasmo al comitato promotore per il NO a uno studio puramente nozionistico della civica.

Mi occupo da tanti anni di educazione civica e ne scrivo sin da tempi non sospetti. Aderire con entusiasmo al Comitato promotore per il NO a uno studio puramente nozionistico della civica è stato un atto quasi dovuto.

Clic sull’immagine per ingrandire.

In calce a questo scritto ho steso un elenco dei principali articoli che ho pubblicato sul tema dell’educazione civica nella mia rubrica sul Corriere del Ticino, il primo dei quali è dell’ottobre 2001. Si trovano tutti nel mio sito, Cose di scuola, assieme ad altri articoli.

In questi primi giorni di campagna in vista della votazione abbiamo già letto tante fandonie. Nessuno è contrario all’educazione civica. Ma bisogna opporsi all’istituzione di una nuova materia scolastica, che sarebbe “insegnata” (le virgolette non sono casuali) per due ore al mese, con tanto di immancabile nota sul libretto: dobbiamo opporci alla malacivica, che è un’educazione posticcia, improvvisata e illusoria.

Per non cadere anch’io nel trabocchetto della banalizzazione, evito il riassunto dei tanti argomenti di cui ho scritto in questi anni. Una solida educazione civica cresce vigorosa solo attraverso l’apporto di tanti attori educativi: dentro la scuola, certo; ma anche in famiglia, nei media, nella Società.

Ha scritto qualche giorno fa Aldo Bertagni che «A poco serve insegnare nozioni di civica, se poi manca quotidianamente l’esempio di chi dovrebbe avere intelligenza e coraggio per dare valore, lungimiranza e peso alla democrazia. Non è la civica che fa acqua in Ticino, ma la buona politica» [La cittadinanza è consapevolezza, laRegione del 29 agosto].

www.cittadinanza.ch


In questo sito vi sono innumerevoli scritti che riportano, più o meno direttamente, al tema dell’educazione civica (tag Educazione civica). Di seguito ecco invece una scelta di articoli più direttamente legati al tema.

Nella rubrica Fuori dall’aula
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