Parliamo di “classici”?

Col titolo «Crescere con i classici, con Collodi, Calvino e Rodari», il Corriere del Ticino ha pubblicato il 24 dicembre 2012, vigilia di Natale, una bella recensione di Silvia Demartini al volume «Il gatto ha ancora gli stivali?», edito recentemente dall’editore Dadò. Eccola.


Ci sono bambini e ragazzi di poche letture. Ci sono bambini e ragazzi che divorano Geronimo Stilton e i Diari di una schiappa, «eroi» (in senso lato) cartacei di questo tempo. Poi ci sono quelli – sempre di meno? – che possono ricondurre anche le parole dei classici al loro «lessico famigliare», a quell’eco privato di voci che un giorno risuonerà nella loro memoria adulta. Ma che cos’è un classico? Qual è il suo statuto? È ancora utile proporne la lettura alle nuove generazioni? Vale la pena di tentare la sfida contro il tempo e contro il mutare dei gusti e della lingua? E poi: ci sono classici di ieri e classici di oggi? Certo, perché tra Salgari e Calvino o Rodari c’è un abisso che l’etichetta «classico» non basta a colmare. Risposte a queste e ad altre domande si trovano nel volume Il gatto ha ancora gli stivali? Perché leggere i classici per ragazzi, oggi e domani  (Locarno, Dadò, 2013), a cura di Dario Corno, Simone Fornara e Adolfo Tomasini. Esito dell’omonimo Convegno del 28 agosto 2012, nato da un’idea dei curatori, il volume offre alcune luminose risposte e numerosissimi stimoli, e si configura, perciò, come un punto di partenza sia per coloro che si occupano di educazione (genitori, nonni, docenti), sia per tutti quei lettori appassionati nei cui ricordi Il gatto, Alice, Tom Sawyer e Piccole donne oscillano tra l’oblio e lo statuto imperituro di guide per la vita.

Dunque sì, parliamo di classici, e facciamolo a partire dai ricchi contributi degli autori (che comprendono, oltre ai curatori, Pino Boero, Walter Fochesato, Fabio Merlini, Renato Martinoni e Mario Gamba). Ciascun saggio è dedicato a un aspetto particolare: classici sospesi tra canone condiviso e canone personale dei «nostri» classici, classici – in particolare Pinocchio – come resistenti e non scontati modelli di lingua, classici come storie tra le cui pagine soffia il «vento della Storia», classici come deposito di memoria senza la quale il nostro «iper-presente smemorato» perde di sostanza, classici come legami o come strappi fra le generazioni, fino alla messa in discussione di certe scelte di comodo della letteratura odierna per l’infanzia e ad alcuni interrogativi fondamentali sulla proposta linguistico-culturale (dunque identitaria) della scuola nell’era «liquida» di web e smartphone.

Già, perché un testo classico spesso parla in modo piacevole, ma raramente in modo «facile»; e sognare, riflettere e imparare confrontandosi con le difficoltà ha un certo costo cognitivo. Un po’ come crescere. È uno sforzo che merita? Quest’opera fa capire che sì, merita, e la Guida ai classici della letteratura per l’infanzia (altro frutto del Convegno) offre un ulteriore strumento orientativo. La facilità, infatti, ogni tanto sacrosanta, non è un pregio assoluto, se si tratta di costruire conoscenze ed emozioni complesse, mentre è più stimolante l’«attrito delle giuste difficoltà», come lo definiva, nell’Ottocento, il linguista Graziadio Isaia Ascoli parlando di scuola. Proprio in virtù del ruolo chiave che possono svolgere, riflettere sui classici per ragazzi significa, insomma, «considerare il problema linguistico generale», ma anche i «bisogni pedagogici che descrivono in profondità il testo classico e i suoi irrinunciabili valori di contenuto», scrivono i curatori. Non solo, allora, parliamo di classici, ma conosciamoli. Magari cominciando dalla lettura di questo libro.

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