Harry Potter, commercio e realtà

E così, dopo settimane e settimane di martellamenti mediatici, venerdì scorso l’incubo è finito: il quinto volume di Harry Potter è finalmente arrivato nelle librerie, puntuale come un orologio svizzero d’altri tempi, per la gioia dei seguaci della signora Rowling e di tutta la schiera di genitori svogliati e parenti senza figli, che sapranno cosa regalare a Natale. Naturalmente esulteranno anche la casa editrice e la stessa autrice, che con questo ulteriore capitolo della saga del maghetto polverizzeranno nuovi record nelle classifiche dei libri venduti: tanto per buttare lì un dato, “Harry Potter e l’ordine della Fenice” era già in testa alle classifiche ben prima di finire sui banconi delle librerie.
Confesso che non ho mai letto una sola riga di queste avventure, pur se molti colleghi garantiscono che le storie della Rowling sono appassionanti e scritte bene e che – insomma! – uno che dell’educazione ha fatto la sua vita non può trascurare ciò che schiere di ragazze e ragazzi amano alla follia e attendono con trepidazione: i più lesti sono già in attesa del sesto episodio. Eppure c’è qualcosa che non mi convince, al di là della bravura dell’autrice, delle storie certamente seducenti e della scrittura di ottimo livello. In altre parole, mi infastidiscono i successi annunciati, poiché non si riesce a capire – nella fattispecie – se Harry Potter è diventato un best seller per doti proprie oppure se gran parte del suo successo sia dovuto più d’ogni altra cosa alla bravura dei pubblicitari.
Non v’è da dubitare che l’uno o l’altro dei volumi del mago Potter sia già entrato in qualche aula scolastica: nulla da obiettare, visto che son libri amabili. Ma non si capisce come mai, a dare ascolto alle classifiche di vendita, non vi siano molte alternative a Harry Potter nelle preferenze dei nostri ragazzi: in tal guisa, quindi, la scuola rischia unicamente di legittimare una scelta chiaramente commerciale, invece di riuscire essa stessa a promuovere le cosiddette buone letture. Quando mai, infatti, abbiamo sentito di schiere di ragazzini che, in tempi recenti, si sono appassionati alle drammatiche avventure di Nemecek, unico soldato in un esercito di ufficiali, o del simpatico Tom Sawyer alle prese con zia Polly? Quante copie si vendono annualmente delle Avventure di Oliver Twist, di Incompreso, di Kim o dell’Isola del Tesoro?
Ma c’è dell’altro. A dare ascolto a maestri e professori, così come a scorrere i sempre più frequenti confronti internazionali, si scopre che i nostri ragazzi leggono poco e leggono male. E allora chi li legge tutti ’sti volumi della scrittrice inglese? Non sarà che si comprino un po’ perché «l’ha detto la TV» e un altro po’ perché sennò che figura ci faccio di fronte ai miei compagni? Ho qualche dubbio che la maggior parte delle migliaia di ticinesi che hanno fatto un salto in libreria nel pomeriggio di venerdì scorso si sia già tuffata sul serio nelle nuove pagine del coetaneo Harry Potter, oggi alle prese con l’ordine della Fenice (che sarà mai?). E i dubbi aumentano se penso che l’ultimo Potter si conclude a pagina 804, come se improvvisamente la fatica di leggere si fosse dissolta come neve al sole e l’ostacolo psicologico di un tomo alto così – e privo di figure – fosse diventato una qualsiasi banalità.
Per me, ci vuole un bel po’ di pelo sullo stomaco per rallegrarsi del successo editoriale di Harry Potter: la coscienza professionale degli insegnanti ne uscirà forse più distesa, ma il merito, purtroppo, arride al marketing.

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