Fare scuola oggi è come comporre un grande puzzle

Un paio di settimane fa mi ha scritto il prof. Marcello Ostinelli, docente di filosofia al liceo e all’Alta Scuola Pedagogica: «Ho letto il tuo articolo sull’educazione civica democratica pubblicato giovedì sul “Corriere del Ticino” (1.2.07). Mi permetto di mandarti queste due righe perché vorrei capire il senso di un apprezzamento che lì esprimi. A riguardo dell’insegnamento dell’educazione alla cittadinanza osservi che “dalla scuola non ci si possono attendere magie, anche perché i nostri insegnanti si formano all’Alta Scuola Pedagogica ecc.”» [al posto di ‘ecc.’ c’era: «mica alla fantastica scuola per maghetti di Hogwarts», quella di Harry Potter, per intenderci]. Continua Ostinelli: «Mi occupo da tempo di educazione alla cittadinanza e all’ASP (formazione di base) me ne è stato affidato l’insegnamento. Il tema è pure discusso nel modulo di filosofia dell’educazione della formazione pedagogica. Ti sarei grato se tu mi chiarissi se l’apprezzamento sulla formazione dei futuri docenti dispensata dall’ASP si riferisce a contenuti specifici del modulo sull’educazione alla cittadinanza. Se questo fosse il caso, ti sarei grato se tu mi precisassi quali sono gli elementi che corroborano il tuo giudizio».
Naturalmente Ostinelli non può essere ritenuto responsabile delle mancate magie della scuola e dell’ASP e di un’educazione civica che, nella scuola dell’obbligo – ma non solo! – è ormai solo una parvenza. Per educare futuri cittadini «in grado di assumere ruoli attivi e responsabili nella società», che è poi l’obiettivo fondamentale della scuola, non è sufficiente – soprattutto oggi – propinare quattro nozioni in croce di educazione civica nella scuola media o confinare la formazione dei futuri maestri in tre o quattro moduli dell’ASP. Essere «civicamente e democraticamente educato» è un’attitudine, che si acquisisce dentro e fuori la scuola giorno dopo giorno. Il guaio odierno deriva almeno in parte dalla complessità della società contemporanea, una società in cui convivono mille identità e altrettanti sistemi di valori che si contraddicono e si sovrappongono, si rafforzano e si annullano, senza più gerarchie chiare e distinguibili, tanto che il campionato di calcio può diventare più basilare – che so? – del disagio giovanile, della segregazione degli anziani o dei costi della salute.
Ma proprio per questo, proprio perché l’educazione alla cittadinanza è divenuta un compito gravoso e intricato, non è più possibile tramutarla semplicemente in una delle tante materie di studio, né nella scuola dell’obbligo né, tanto meno, all’Alta Scuola Pedagogica. Perché oggi il vero nemico da fronteggiare è la frammentazione, con le molteplici e variegate perversioni educative che schizzano tutt’intorno, in uno scellerato gioco al massacro culturale e istituzionale. L’educazione alla cittadinanza deve permeare la scuola in ogni suo momento; l’etica che sottende il cittadino «civicamente e democraticamente educato» deve risaltare in aula, in palestra, in cortile, in laboratorio, in biblioteca, attraverso il senso delle diverse discipline e il modello costituito dall’insegnante; esiliarla in quell’ora di cosiddetta educazione civica è come nascondersi dietro il popolare dito. Per questo serve una scuola che sappia educare e insegnare al di là degli steccati disciplinari, con insegnanti che non siano né chiocce né aguzzini: crescere e imparare dev’essere più importante che prendere belle note (o note tali da produrre medie accettabili, quasi che un 3 in matematica e un 6 in storia generassero un 4½ in tutt’e due…).
Analogamente anche la pedagogia sembra aver abbandonato negli ultimi anni il suo ruolo primigenio, che era quello di occuparsi dei grandi orientamenti educativi e culturali, e ha imboccato, inabissandosi nelle ‘scienze dell’educazione’,  il crinale della segmentazione più o meno impermeabile e tecnocratica, attraverso le sue mille didattiche e psicologie e aree disciplinari. Resta che un curricolo di studi – elementare, secondario o magistrale – è come un puzzle: servono tutte i tasselli in perfetto stato, ma – soprattutto – è necessario combinarli in modo che alla fine se ne veda il senso compiuto.

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