Proposte a bizzeffe ma raramente divergono dalla vecchia idea di scuola

L’istruzione | La formazione scolastica alla prova del tempo. Ambito per ambito. Materia per materia. Così l’insegnamento si rinnova. O dovrebbe rinnovarsi. Da questo numero, e per alcune edizioni, le idee sul futuro di una istituzione fondamentale per la crescita della società.

È con questo lancio che IL CAFFÈ inaugura una nuova serie di riflessioni, dopo quella denominata L’ANALISI – Verso la ripresa delle lezioni (cinque puntate, dal 12 luglio al 30 agosto 2020, durante l’estate della pandemia Covid-19).



Forse il dibattito sulla scuola è un po’ confuso e prevedibile.

Prendiamo il discorso sui famigerati livelli della scuola media. Già nel 2012 i Verdi avevano proposto di ridiscuterne. Dopo tanti silenzi e il pollice verso alla «Scuola che verrà», ora si comincia a dire che sì, insomma, magari… Per un noto imprenditore era «l’ennesimo abbassamento della selettività della scuola. L’abolizione dei livelli porterà a ulteriori difficoltà nel momento del passaggio nel mondo del lavoro. Ma soprattutto saranno guai per coloro che vorranno continuare a studiare». Un altro maggiorente locale aveva ritenuto fondamentale ristabilire (sic) la meritocrazia. E il Movimento della scuola, guidato da uomini di scuola, mica dagli ultimi proletari del sistema-scuola, si era messo di traverso: «In certe riforme [ci sono] troppi scienziati dell’educazione», che, detto da «guidatori» della scuola, dovrebbe far riflettere. Non che la «Scuola che verrà» fosse chissà quale rivoluzione, sicché siamo ancora qui, quasi mezzo secolo dopo, a parlare dei livelli della scuola media.

Manca almeno un pizzico di fantasia: perché di idee e proposte se ne sentono a bizzeffe, ma raramente divergono granché da quell’idea di scuola che ci accompagna tutti da più di un secolo. Forse toglieranno i livelli della scuola media. Chissà cosa si inventeranno dopo, sperando che la soluzione non diventi l’Hiroshima della scuola dell’obbligo.

Poi, come si ripete spesso, sono i buoni maestri a fare una buona scuola, quelli che incantano i loro studenti, trasformano un complicato problema matematico in un’opera d’arte – al contrario di quegli altri, capaci di inaridire Leopardi. Va da sé che il medesimo ragionamento vale per tutti gli altri mestieri, perché pretendiamo di poterci fidare del pizzaiolo e dell’autista del bus, di chi fa i nostri giornali preferiti, dei professionisti e degli artigiani ai quali ci capita di affidarci. La differenza principale è che se non sono contento dell’elettricista, o del giornale, lo cambio. L’altra differenza è che la scuola, come la giustizia e l’esercito, è un’istituzione dello stato, ancorata alla costituzione, mica un servizio. Tutti sono obbligati a frequentarla, e non è solo questione di imparare a leggere, scrivere e far di conto.

Tutti siamo andati a scuola. C’è chi si è appassionato e chi è stato malissimo. C’è chi ricorda i suoi maestri, perché erano il meglio o il peggio. Sia come sia, magari non avremo imparato bene la matematica, l’italiano o tutta quell’abbondanza di nozioni, tecniche, lingue e competenze che si usa infilare nei programmi: ma siamo tutti esperti di scuola, ognuno con la sua soluzione, magica e quasi banale.

È da riflessioni come queste che vorrei ripartire, non per rincorrere chissà che rivoluzione copernicana, perché tanto la Realpolitik viaggia con prudenza e il piede sul freno, e con l’illusionismo non si va distante. Però esistono delle idee che arrivano molto più in là dei livelli e della media del 4.65 per andare al liceo a farsi massacrare una volta su tre. Ci sono problemi politici, sociali e culturali enormi, da affrontare con spirito critico, curiosità, piacere del dubbio e della speculazione intellettuale: attitudini che non possono nascere in una scuola ingessata e inutilmente selettiva. Per imparare a difendersi dalle fake news e dai tanti imbonitori della politica e dell’economia serve una scuola diversa: perché educare non è sinonimo di addomesticare, né di intrattenere o divertire.

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