Philippe Meirieu: un inaspettato dizionario della pedagogia

Philippe Meirieu, prolifico, geniale e appassionante pedagogista europeo, ha pubblicato a metà ottobre un corposo Dictionnaire inattendu de pédagogie, un dizionario davvero inattendu – inatteso e imprevisto – cioè del tutto diverso da quel che il titolo potrebbe suggerire.

In effetti non si tratta di una specie di Wikipedia della pedagogia, un elenco di termini seguito dall’inevitabile definizione, coi suoi bravi rimandi storici e bibliografici – che pur ci sono, in particolare nelle tante note a piè di pagine.

«Mi sono sempre piaciuti i dizionari», scrive l’autore nella prefazione. «Già da bambino passavo ore e ore a sfogliarli. Da adolescente li studiavo coscienziosamente, per trovarci di che contraddire i miei genitori. Da studente mi imponevo regolarmente di confrontare le definizioni di parole importanti in dizionari diversi. Da insegnante proponevo sistematicamente ai miei allievi di costruire, mese dopo mese, un dizionario i principali concetti che trattavamo… E poi, negli anni, ho accumulato una considerevole quantità di dizionari: etimologici e analogici, dei sinonimi e delle citazioni, delle espressioni, dei proverbi, delle rime» e tanti altri ancora, più o meno fantasiosi.

Poco sotto: «Tra questi, alcuni sono sempre a portata di mano e sono strumenti di lavoro quotidiano. Altri sono là per essere sfogliati senza preavviso e vedere aprirsi, tutt’a un tratto degli orizzonti inaspettati. Altri ancora sono riferimenti essenziali la cui lettura non smette di arricchirmi.»

Coerente con la presentazione, ognuno dei quasi cinquanta lemmi parte con una prima parte in stile dizionario (appunto!), e prosegue con alcune riflessioni che riportano agli orizzonti inaspettati scatenati da questo sfogliare un po’ a caso – un’attività che molti della mia generazione hanno praticato negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, lasciandosi trascinare da una definizione all’altra.

Per fare un esempio tra i tanti, alla voce Photocopieuse troviamo dapprima la definizione del lemma.

Fotocopiatrice (s. m). Apparecchio di ripografia il cui uso, negli istituti scolastici, si è banalizzato negli anni 1990-2000. Il principio del suo funzionamento è «l’elettrofotografia» scoperta dal fisico francese Jean-Jacques Trillat nel 1935. Lo presentò alla società Kodak che rifiutò di usare un procedimento che riteneva senza un avvenire commerciale. Nel 1938 l’americano Chester Carlson depositò il primo brevetto operativo di «elettrofotografia», ma non riuscì a venderlo fino al 1947 alla società Xerox. Anche se oggi, con l’avvento del digitale e l’uso degli schermi, il numero di fotocopie tende a regredire, fa fotocopiatrice resta massicciamente usata dalla scuola materna all’università. Il numero di fotocopie ufficialmente autorizzato è di 180 per allievo e all’anno, di cui 40 pagine di opere protette.


A seguire, ecco l’incipit delle riflessioni suscitate dalla fotocopiatrice.

Bisogna aver raggiunto, come me, un’età canonica per ricordarsi della «macchina ad alcol» con cui i giovani insegnanti che eravamo duplicavano i loro documenti. Certo, il procedimento era artigianale, ma l’esistenza di qualche calco colorato e l’uso dei normografi permettevano di proporre agli allievi delle bellissime schede di lavoro.

La ciclostile, che li rimpiazzò abbastanza in fretta, era molto più veloce ma, nel contempo, era più complicata da usare e dava molto meno spazio alla creatività. Tuttavia, in un caso come nell’altro, c’era poco da improvvisare all’ultimo momento, ricopiando una pagina del manuale o il brano di un libro: bisognava anticipare, interrogarsi sullo spazio di un documento nella sequenza di apprendimento, immaginarlo e realizzarlo, decidere come usarlo e come conservarlo. La natura artigianale e piuttosto laboriosa dell’operazione ci rendeva sufficientemente prudenti e vigili, in altri tempi, allo spreco di carta.

Poi arrivò la fotocopiatrice…

Da Abyme a Village il discorso è certo inconsueto, ma non confuso, né banale. Nel percorrerlo ognuno, credo, inseguirà una sua logica. Io, ad esempio, sono stato attratto da Catechismo, Scoraggiamento, Noia, Emozione, Telecomando – e, naturalmente, Fotocopiatrice. «Ma non c’è niente di definitivo o di esaustivo», annota Meirieu. Anzi «Completamente il contrario, alcune parole inaspettate che rimandano a questioni vive, una lista che ognuno potrà completare con altre parole, altrettanto insolite ma che, tuttavia, hanno senso per lui o per lei. Perché spesso è così che ci svegliamo dal nostro sonno dogmatico: lasciando spazio all’imprevisto».


PHILIPPE MEIRIEU, Dictionnaire inattendu de pédagogie, 2021, ESF Éditeur, 525 pagine (disponibile anche come e-book).

La traduzione in italiano dei diversi passaggi che cito nell’articolo è mia.

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