Fuori dall’aula, sul Corriere del Ticino dal 2001 al 2020

Gli scritti contenuti in questa categoria appaiono nell’inserto culturale del «Corriere del Ticino» sin dal settembre del 2001. La rubrica «Fuori dall’aula» era nata nel 1996, a firma Emilio Franti, ed era andata avanti fino al cambio del testimone con me, che avevo debuttato a fine agosto 2001. Emilio Franti: è difficile – a posteriori e a freddo – spiegare come abbia potuto nascere un tanto azzeccato nom de plume. C’è molta pedagogia in esso, da quella blasonata e con chiare radici illuministiche (Jean-Jacques Rousseau diede alle stampe il suo romanzo pedagogico «Emilio» nel 1762), mentre l’origine di Franti sembra lapalissiana. Franti ha una madre, ma non un nome di battesimo: «Il Direttore guardò fisso Franti, in mezzo al silenzio della classe, e gli disse con un accento da far tremare: – Franti, tu uccidi tua madre! – Tutti si voltarono a guardar Franti. E quell’infame sorrise»[1].

 

Giuseppe Baretti (1719-1789)
Giuseppe Baretti (1719-1789)

Come detto è all’inizio dell’anno scolastico 2001-02 che a Emilio Franti ero subentrato io, per qualche anno con lo pseudonimo Luca Baretti; in pratica non mi ero neanche chiesto se fosse il caso di partire col nome vero. Nuovamente un nom de plume, dunque, benché più criptico e sicuramente meno didascalico. Occorre sapere che Franti – quello del «Cuore» deamicisiano – frequentava a Torino una scuola dedicata proprio a Baretti: «Oggi primo giorno di scuola. Passarono come un sogno quei tre mesi di vacanza in campagna! Mia madre mi condusse questa mattina alla Sezione Baretti a farmi inscrivere per la terza elementare: io pensavo alla campagna e andavo di mala voglia». Giuseppe Baretti (1719-1789), fu letterato e poliedrico intellettuale, la cui «… vena di polemista trova espressione nella “Frusta letteraria”, rivista quindicinale da lui creata e di cui è pressoché unico autore, pubblicata dal 1° ottobre 1763 al 15 luglio 1765 dapprima a Venezia, poi per problemi di censura ad Ancona. Sotto lo pseudonimo di Aristarco (dal nome del filosofo greco Aristarco di Samotracia) Scannabue, militare a riposo, recensì con verve polemica e con piglio morale i libri che, sempre nella finzione autoriale, gli venivano prestati dal curato della località campestre in cui si era ritirato. Le numerose e molto spesso risentite reazioni alle sue recensioni testimoniano del successo del suo progetto, al quale rimane principalmente legata la sua fama»[2]. Oltre a ciò «Il Baretti» è stato il quindicinale di critica letteraria edito da Piero Gobetti (1901-1926, intellettuale liberale che io amo in modo particolare), il cui primo numero vide la luce il 23 dicembre 1924. La rivista sopravvisse per qualche anno al suo ideatore e editore, morto esiliato a Parigi, dopo aver preso un sacco di botte dai fascisti; l’ultimo numero del «Baretti» è infatti datato dicembre 1928. Detto per inciso, Piero Gobetti usò pure lo pseudonimo «Giuseppe Baretti» per firmare qualche suo articolo.

Luca, infine, è il mio secondo nome, probabilmente in ricordo di un bisnonno (Luca Dalidio, 1836-1929).

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Perché scegliere la volatilità dello pseudonimo piuttosto che dar fondo al proprio narcisismo, firmandosi con tanto di nome e cognome? E chi lo sa! Da un lato – certo – c’era una sorta di goliardico piacere di fronte al divertissement, laddove qualche amico mi metteva inconsapevolmente sotto il naso i miei scritti, aggiungendo il proprio accordo o i propri distinguo; oppure – più allegramente ancora – il gusto di piazzare il cinico sberleffo quando l’interlocutore non era d’accordo con qualche colpo di spada, e – soprattutto – non sapeva con chi prendersela. È certamente in questo secondo caso che il nome posticcio mostra tutto il suo interesse e la sua impudenza: perché il paese è piccolo, e la tentazione di giustificare ogni tesi sulla scorta di chi la sostiene è purtroppo sempre dietro l’angolo. In questo senso Baretti mi ha permesso di scorrazzare più o meno indisturbato nelle vaste praterie pedagogiche di questo Ticino, al di là delle mie funzioni professionali, delle mie idee e frequentazioni politiche, dei processi alle intenzioni e dei pregiudizi. Grazie a Luca Baretti sono riuscito per un lustro a mitigare le grettezze che si annidano quasi sempre dietro qualsiasi dibattito che tocca la nostra scuola e, più in esteso, il nostro sistema formativo: perché, nel caso di «Fuori dall’aula», è sempre stato inutile chiedersi «Cui prodest?».

Mai ho parlato – soprattutto in bene – del mio istituto scolastico, così come mai ho utilizzato la rubrica con spirito di autocompiacimento. Perché in ogni modo – in questi anni – ho continuato a esprimermi liberamente, in questo o in quel consesso. Invece – e più correttamente – sullo sfondo di quei quasi ottanta articoli c’è una visione precisa della scuola pubblica, delle sue finalità e dei suoi compiti istituzionali: di fronte al disorientamento che colpisce oggi un gran numero di sistemi scolastici dell’Occidente, il mio percorso «Fuori dall’aula» si configura, a posteriori, come un forte progetto ideologico, che crede (ancora) nella scuola repubblicana e nella forza liberatoria dell’educazione e dell’istruzione: a fronte di assalti tenaci e sempre più pressanti per piegare la scuola alle aleatorie e sovente improvvisate opportunità di bottega, anche lo pseudonimo si è rivelato un trampolino di libertà.

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Si sa che lo scritto che appare su un quotidiano ha vita effimera. Il lettore, anche il più fedele, ricorderà una sensazione, uno spunto, un’idea. Io stesso, che ne sono stato l’autore, ho faticato, qua e là, a ricostruire gli spunti iniziali. L’esercizio di raggruppare qui tutti gli scritti ha rappresentato anche per me una felice scoperta: articolo dopo articolo ho sfiorato i ritmi dell’anno scolastico e dell’anno civile, così come mi ero lasciato a volte trasportare dall’attualità, mi ero arrabbiato o mi ero candidamente invaghito dell’una o dell’altra situazione, mi ero lasciato andare all’ironia o al sarcasmo, battendo con piacere le strade dell’irrisione o dell’indignazione. Ma leggere oggi quegli scritti – per lo più scorporati dal preciso spunto di cronaca che aveva avviato la riflessione – può costituire un apprezzabile stimolo per riandare a un’idea di scuola che, sin dall’800, ha ispirato politici e filosofi, pedagogisti e semplici maestri. Così ho rinunciato a un’idea che, a dire il vero, avevo dapprima caldeggiato: quella di accostare a ogni articolo un breve testo didascalico che richiamasse l’evento, il fatto di cronaca, la dichiarazione estemporanea del politico, del funzionario, del gruppo di genitori, dell’assemblea studentesca, del giornalista.

Al di là delle contingenze dettate dalla quotidianità, il Paese e la sua scuola continuano il loro cammino, che è fatto di abitudine e di ripetitività, ma anche – quando tutto gira a puntino – di eventi pedagogici belli come un’opera d’arte. Da troppi anni si ama ripetere, nell’ambiente, che la scuola è un cantiere aperto. A me, per contro, sembra un grande studio di progettazione, senza un capo illuminato che, di tanto in tanto, sappia concretizzare qualche proposito particolarmente affascinante. Nell’attesa lasciamo pure che altri tengano le redini…

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Gli articoli che compaiono in questa raccolta non rappresentano la trascrizione precisa di quanto è apparso sul «Corriere», ma sono gli originali recapitati alla redazione. Qua e là, in effetti, la redazione è intervenuta con piccole o grandi modifiche – a volte veri e propri tagli, altre semplicemente degli interventi di buon gusto. Un analogo discorso riguarda i titoli e le date di apparizione, che non necessariamente combaciano con quanto effettivamente si è palesato nella realtà. Avrei potuto fare una ricerca comparata dando fondo ai miei archivi, ma ho preferito restituire quanto avevo «pensato» nei momenti di redazione. Solo così, credo, sarà possibile cogliere le mie cadute di stile (capita nelle migliori famiglie!) o le scelte non sempre del tutto comprensibili della redazione del «Corriere».


 

[1] Edmondo De Amicis, Cuore

[2] Enciclopedia® Micorsoft® Encarta 2001. © 1993-2000. Microsoft Corporation. Tutti i diritti riservati 1996

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