Adolfo Tomasini (Locarno, 1953). Ho insegnato nelle scuole elementari di Locarno dal settembre 1974. Nel 1983 mi sono iscritto all’Università di Ginevra dove, nel 1987, ho conseguito la licenza in scienze dell’educazione presso la Facoltà di Psicologia e Scienze dell’Educazione. Dal 1987 al 2013 sono stato direttore delle scuole comunali di Locarno. Sono in pensione dal 1° agosto 2013.
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Questo blog nasce da una duplice passione. La prima è la scuola, una passione che dura da una vita. Dopo il ginnasio – eh sì, ai miei tempi non c’era ancora la scuola media e io avevo frequentato il ginnasio – mi sono iscritto alla Scuola magistrale cantonale, dove mi sono diplomato nel 1974. Erano gli ultimi scampoli di un mercato del lavoro allettante: partecipai a un paio di concorsi e fui assunto alle scuole comunali della mia Città. Ho passato nove anni intensi, come maestro di scuola elementare. In quei nove anni ho promosso diverse esperienze, grazie a un po’ di incoscienza, a tanta passione e agli stimoli che mi venivano dal mio direttore, Elio Galli, e dal mio ispettore, Bruno Bertini.
In quei nove anni ho inaugurato la scuola montana nella mia città, ho tentato, in vari modi, di affrontare la cosiddetta scuola attiva, ho cercato di ispirarmi alle esperienze di Célestin Freinet, di Don Milani, di Mario Lodi, del Movimento di Cooperazione Educativa… Più in là ho cercato sbocchi nel team teaching, una pratica ispirata dai modelli statunitensi, ma declinata sulla vecchia Europa, senza tanti orpelli gerarchici e tassonomici. Una cosa più semplice.
Nell’autunno del 1983 mi sono iscritto alla facoltà di scienze dell’educazione dell’università di Ginevra, dove ho conseguito la laurea nell’estate del 1987, con un lavoro di diploma consacrato ai temi delle regioni periferiche e della riproduzione culturale. Al pensionamento del dir. Galli, il Municipio di Locarno mi ha nominato suo successore, funzione che ho svolto fino al 31 luglio del 2013.
Insomma: i miei mi avevano mandato all’asilo in tenerissima età – doveva essere il 1956 o il 1957 – e dalla scuola non mi sono più schiodato. Ma la passione per l’educazione, la scuola e la pedagogia – non mi piace la definizione scienze dell’educazione, soprattutto da qualche anno in qua – ne è uscita tonificata, malgrado l’età che scivola via con ritmi sempre più svelti.
La seconda passione è quella del giornalismo, della comunicazione. Già da preadolescente mi piaceva la fotografia. Non ricordo qual era l’anno, ma Silverio Buffi, all’epoca redattore della pagina locarnese del quotidiano «Il Dovere», mi chiese di far delle foto per una manifestazione sportiva ad Ascona, una domenica di primavera. Lunedì trovai le mie foto in pagina, con l’immancabile corsivo in didascalia: Foto Adolfo Tomasini. Non mi sono più fermato. Ho fatto il fotoreporter per qualche anno – ricordo le feste dei fiori, il festival del film, le manifestazioni politiche, i primi d’agosto, il «Processo Zylla» e tanti altri avvenimenti grandi e piccoli. Poi mi chiesero, qualche anno dopo, di passare alla cronaca scritta: le sedute dei consigli comunali, le assemblee sociali, qualche avvenimento particolare.
Ero maestro di scuola elementare, a quel tempo. Seguivo ad esempio il consiglio comunale a Locarno, che terminava a orari impossibili. Poi insegnavo tutto il giorno e alle 16.15 mi mettevo alla macchina per scrivere, a buttar giù due cartelle e mezza con interlinea 1.5. Prima d’una cert’ora bisognava correre alla posta di Muralto, che possedeva le telescriventi per inviare i testi alla redazione di Bellinzona. Il pezzo – solitamente un «Capocronaca» a sigla a. t. – usciva il mercoledì. Roba d’altri tempi.
Nella primavera del 2001 mi contattò Saverio Snider, allora responsabile dell’inserto culturale del Corriere del Ticino, che pubblicava sin dall’11 settembre 1996 una rubrica su temi scolastici e educativi. Si chiamava «Fuori dall’aula» ed era firmata da tale Emilio Franti. Snider mi disse che Franti era stufo e voleva smettere. Chiese a me di subentrargli. Tergiversai. Non ero più abituato a scrivere, se non rapporti e lettere col loro stile tra il burocratico e l’accademico. Alla fine accettai e al momento di inoltrare il primo contributo, uscito il 29 agosto 2001, inventai lì per lì uno pseudonimo, trasformatosi poi in nome e cognome a partire dal 1° settembre 2006.
Da giovane ho fatto anche politica attiva. Sono stato membro del movimento giovanile del partito liberale radicale e ho presieduto la sezione locarnese. Dal 1980 al 1983 sono stato consigliere comunale e membro di un paio di commissioni di un certo peso. C’entra qualcosa, in questo contesto? C’entra, c’entra. Nel 1983 diedi le dimissioni dal consiglio comunale perché ero in partenza per Ginevra. Avrei potuto mantenere il mio scranno, ma non sopportavo più le cosiddette strategie di partito, un certo malcelato ostracismo da parte di un buon numero di maggiorenti, le pressioni per tacere e qualche sano insulto quando me ne feci un baffo delle pressioni. Quando lasciai il legislativo ricevetti qualche peana di maniera. Ma la gioia del mio subentrante era anche la gioia di qualche dirigente. Succedeva trent’anni fa.
Oggi la politique politicienne mi fa venire l’orticaria. Non sopporto la campagna elettorale perenne, le tattiche di parte, gli ostracismi quando le buone idee vengono dai cosiddetti avversari politici, le meline incessanti e subdole, quel sentirsi al centro dell’universo. Anche qui, come in altri paesi europei, i politici rappresentano un mondo a parte. Oggi la sparano grossa, domani la ritrattano o la smentiscono. E non arrossiscono mai. Qualcuno non lo nasconde: c’è voglia di bipolarismo. Personalmente, agli accomodamenti del bipolarismo preferisco i compromessi dei sistemi proporzionali. Io mi sento ancora liberal, ma non trovo più un solo partito nel quale mi troverei a mio agio: a volte per motivi ideologici, più spesso per i diffusi metodi da chierico, contrabbandati come rigore delle idee.
Così, ora che ne ho il tempo, voglio continuare unendo queste due passioni. Anzi tre, perché la pedagogia è ideologica. Tutto lì.