L’eredità di Rousseau, la scuola e la politica di oggi

Questa recensione è apparsa sul Corriere del Ticino del 21.08.2014, col titolo «L’eredità di Jean-Jacques Rousseau, la scuola e la politica di oggi».


Gettare alcuni semi illuministi con la speranza che possano germogliare «per capire meglio il nostro presente, le sue impasse e le ragioni dell’odierno disincanto dopo l’ubriacatura post-moderna»: è questo l’intento del volume Semi ad usum praesentis – Un incontro sul pensiero di Jean-Jacques Rousseau, curato dal filosofo Fabio Merlini. Esso raccoglie i contributi di sei studiosi che, nel dicembre del 2012, in occasione del tricentenario della nascita del filosofo ginevrino, hanno dialogato col suo pensiero, durante un incontro tenutosi a Bellinzona. Il libro dà vita a una conversazione di grande interesse e dall’alto contenuto divulgativo. Partendo da alcune pagine fondamentali dell’opera di Rousseau gli autori propongono altrettante riflessioni declinate al presente, nel doppio intento di mettere nella giusta luce l’attualità del filosofo e di mostrare alcune distorsioni politiche e sociali del mondo odierno, dove «ciò che “normativizza” i comportamenti dei grandi operatori multinazionali (imprese e istituzioni bancarie) sono intese e accordi per lo più indifferenti a qualsiasi regolamentazione di mercato e al diritto legislativo dei singoli Stati. “Intese” e “accordi” in ragione dei quali il contratto privato sembra aver sostituito il diritto» (p. 15). Il pensiero di Rousseau rivela dunque la sua continuità nel tempo e «rimane una fonte inesauribile di ispirazione, nella misura in cui le sue visioni convergono nella definizione di un uomo nuovo. Scuola e formazione, a tutti i livelli, sono ovviamente coinvolte in prima persona. È giunto il momento di raccogliere tutte le voci giustamente critiche che oggi chiedono risposte diverse, rispetto a quelle elaborate negli ultimi decenni, a questa semplice domanda: “formare a che cosa?”» (p. 19-20).

Semi-ad-usum-praesentis-Copertina-512x1024Dopo tre brevi lezioni introduttive del curatore, il volume percorre l’opera di Rousseau attraverso alcune riflessioni che alternano argomenti politici e educativi. Lina Bertola si china sulla necessità che l’educazione torni a essere un atto di resistenza, per lasciarci alle spalle l’imperante utilitarismo della scuola negli anni della globalizzazione. Virgilio Pedroni approfondisce lo scarto tra volontà generale e volontà di tutti, dove la prima è quella dei cittadini e la seconda l’affollata giustapposizione di interessi privati. «L’educazione del cittadino. Il senso del patriottismo e la questione della religione civile» sono invece al centro delle considerazioni di Marcello Ostinelli, mentre Michele Mainardi punta i suoi riflettori su alcuni temi educativi, con particolare riguardo alla necessità che il patto educativo, formativo e sociale, alla base delle società civili, concerna le comunità e la società nel loro insieme. Per terminare, Franco Zambelloni propone un’acuta, curiosa e intrigante riflessione: «La libertà tradita», una sorta di pamphlet sulla pedagogia del ginevrino, fondatore della pedagogia moderna, che ha però subito una grave censura da parte dei contemporanei, che hanno occultato uno dei grandi principi: «Soffrire è la prima cosa che [il fanciullo] deve imparare». Alla faccia di tutto il recente buonismo.

Insomma, un testo indispensabile per chi non ne può più di questa politica senza visioni e senza cultura e di questa scuola al servizio dell’economia. Perché sull’intero volume aleggia «una domanda che non dovrebbe smettere di interrogarci: è davvero sfumato il sogno illuminista di una società più giusta?»

 

FABIO MERLINI (a cura di), Semi ad usum praesentis – Un incontro sul pensiero di Jean-Jacques Rousseau, 2013, Tesserete, Pagine d’Arte, 146 pagine, € 12 / Fr 16, ISBN 9788896529614

Elogio al Maestro

Sul «Corriere della Sera» del 13 agosto 2014 Beppe Severgnini ha scritto uno straordinario ricordo di Robin Williams, con un toccante articolo che è un elogio alla figura del Maestro: «Capitano, mio capitano». Quell’attimo fuggente che commuove. Il professore Keating, un maestro di vita. Perché ci rattrista la scomparsa dell’attore.

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L’attimo fuggente e il professor Keating che muovono l’articolo sono quelli del bellissimo film del 1989 diretto da Peter Weir, in cui Robin Williams dà vita a una storia emozionante, nei panni del professor John Keating, l’insegnante di lettere che sprona gli studenti a mettersi in piedi sui banchi per vedere il mondo da un’angolazione diversa, e a strappare le pagine accademiche sul tema «Comprendere la poesia», perché non stiamo parlando di tubi, stiamo parlando di poesia. Il titolo italiano del film, «L’attimo fuggente», si rifà al Carpe diem di Orazio, ma è certamente più ermetico del titolo originale, «Dead Poets Society».

Nel tempo della scuola sempre più tecnocratica e darwinista, che privilegia i test e la selezione a scapito dell’Educazione e dell’Insegnamento, l’articolo di Severgnini è quasi un piccolo trattato di pedagogia, una riflessione che rende un emozionante omaggio al grande Robin Williams.


Vi siete mai chiesti perché il finale di L’attimo fuggente, ogni volta, ci commuove? Ricordate? Il professor John Keating (Robin Williams), cacciato dalla scuola, lascia l’aula per l’ultima volta. I suoi ragazzi non ci stanno, gli rendono omaggio. Uno dopo l’altro, salgono in piedi sul banco ed esclamano: «Capitano, mio capitano!».
Perché quella scena, invece di apparire enfatica, è così potente e universale? La ricordano in Asia, la citano in America, la riproduciamo in Europa nei convegni aziendali: l’amministratore delegato vorrebbe ispirare come il professor Keating, e rischia d’irritare come il pedante sostituto in cattedra.

La risposta è semplice. Quella scena ci colpisce perché tutti sentiamo d’aver bisogno di un maestro. Sempre, dovunque, a ogni età. Desideriamo, magari senza rendercene conto, una guida che indichi la strada: per di là. Senza spingerci: basta l’incoraggiamento.

«Maestro» era l’appellativo di Gesù Cristo nei Vangeli. L’omaggio dei contemporanei ai grandi del Rinascimento. Oggi il vocabolo non se la passa bene. Banalizzato a scuola – dove qualche folle pensa sia meno prestigioso di «docente» – e inflazionato nella vita quotidiana. Quando non possiamo vezzeggiare il prossimo con un titolo di studio, o adularlo con qualche carica altisonante (vicepresidente! egregio direttore!), ricorriamo a «maestro». Pittori di provincia, poeti dilettanti, cattedratici sgonfi, allenatori in pensione: un inchino verbale non si nega a nessuno.
Non è un titolo ambito, maestro. Pochi sembrano interessati a conseguirlo. «C’è una grande gioia a incoraggiare il talento» diceva John Travolta, accademico sovrappeso e alcolizzato in In una canzone per Bobby Long; e cambiava la vita della ragazzina bionda e confusa che seminava dubbi e mutande per la casa (Scarlett Johansson). Quanti professori universitari, oggi, hanno voglia di diventare maestri? Ordinari, certo. Maestri, chissà. Quanti datori di lavoro pensano di dover dare, invece di continuare a chiedere; e insegnare, invece di limitarsi a giudicare? Quanti imprenditori e professionisti passano competenze e opportunità alle nuove generazioni, invece di considerarsi l’inizio e la fine di ogni cosa?

Essere un maestro è un impegno: un’auto-certificazione di generosità. Esiste uno speciale egoismo contemporaneo che ha preso forme accattivanti. Qualcuno lo chiama individualismo; altri, realismo. Molti teorizzano la necessità di viziarsi, di salvaguardarsi, di pensare a sé. «Fatevi le coccole» è una delle più fastidiose espressioni pubblicitarie degli ultimi anni: le coccole si fanno ai bambini e a chi si ama, non a se stessi. Esiste l’onanismo del cuore, e non è bello da vedere.
I maestri, di cui Robin Williams fornisce una poderosa interpretazione, non fanno coccole: offrono aiuto e suggerimenti e ispirazione. Segnalano svolte e insegnano prospettive. Indicano una via e la illuminano: può essere una scala verso il cielo, se uno crede all’aldilà o ai Led Zeppelin; o un passaggio sicuro nel bosco delle decisioni difficili. I maestri – quelli veri – non chiedono niente di cambio. Non sono life coaches. La ricompensa è l’onore di trasmettere qualcosa, il piacere di aiutare chi viene dopo. Piacere gratuito; quindi, impopolare.

Ci sono rischi, ovviamente. La domanda di maestri ha creato un’offerta vasta, varia e insidiosa. La parodia del carisma può ingannare chi cerca e ha fretta di trovare. Psicologi e filosofi trasformati in santoni; leader politici impegnati nella costruzione del monumento personale; spericolati improvvisatori new age; sacerdoti che posano da guru; gruppi e sette che dispensano dal pensare e, nel calore del gruppo, addormentano le coscienze. Non salite sul banco, davanti a questi personaggi, come gli studenti del professor Keating; nascondetevi sotto, e tappatevi le orecchie.

Gli attimi fuggono, i gesti rimangono. Ecco perché il mondo s’è commosso, come non si vedeva da tempo in occasione della scomparsa di un attore. Non è solo la strabiliante abilità di Robin Williams che ci mancherà; non è tanto la sua strepitosa galleria di personaggi. Ci mancherà qualcuno che ci ricordi con passione, a colori, con poesia quanto abbiamo bisogno di maestri.
Capitano, mio capitano!, tu lo insegnavi: qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo.