L’inclusione non esclude di per sé la selezione

Nella sua edizione del 20 marzo il domenicale gratuito Il Caffè ha dedicato ampio spazio alla scuola, prendendo le mosse dal “famoso” sciopero al contrario che sarebbe andato in scena di lì a qualche giorno. Evito intenzionalmente di dire la mia sulla manifestazione più o meno massmediatica e sindacale del 23 marzo, alla vigilia delle vacanze pasquali: per tre mesi abbiamo letto di tutto, nel bene e nel male. Rammento solo che, negli ultimi vent’anni, il giorno di congedo supplementare per i docenti (e degli impiegati dello Stato in genere), deciso per compensare qualche misura di contenimento salariale, è stato frequente, senza che a nessuno saltasse in mente di inventare scioperi al contrario o altre amenità. Per quel che ricordo, non usciva neanche una striminzita lettera ai giornali: un giorno in più di vacanza non scocciava a nessuno.

È stato giusto gridare di nuovo Giù le mani dalla scuola pubblica e obbligatoria. È capita e concordo, ci mancherebbe.

Torno al Caffè di domenica 20 marzo. In prima pagina, nel consueto spazio dell’editoriale, ecco una lettera aperta di Manuele Bertoli, direttore del DECS, Cari professori, cari studenti io vi dico che…, un testo accorato che, per quello che può contare, mi sento di sottoscrivere quasi integralmente. A seguire, alle pagine 2 e 3, ecco un florilegio di contributi d’ogni genere e competenza (si possono leggere le due pagine nell’edizione e-paper del Caffè del 20 marzo, con l’accortezza di scegliere l’edizione del 20 marzo 2016).

La settimana precedente mi aveva contattato il giornalista Ezio Rocchi Balbi, che ha curato il servizio e che ha introdotto il tema con un articolo intitolato La scuola si è rivoltata, “esami” più difficili per il ministro Bertoli. Con Rocchi Balbi siamo rimasti al telefono per circa un quarto d’ora. Nell’articolo è uscita questa sintesi:

«Devo riconoscere che mai avevo visto un ministro come Bertoli così a contatto con le scuole. Tanto di cappello – sottolinea Adolfo Tomasini, ex direttore delle scuole comunali di Locarno. Ma il disagio dei docenti continuerà fino a quando non si eliminerà un peccato originale che incide su tutti i nodi della scuola, dalle competenze all’educazione civica fino all’ora religione: bisogna decidere se la scuola deve selezionare o formare».

Naturalmente poteva andar peggio, ma quando si parla coi giornalisti bisogna sempre essere consapevoli che quel che si dice può essere riportato alla lettera e sembrare l’esatto contrario di quel che era l’intenzione. Qualcuno, forse il solito Andreotti, disse una volta che una smentita è una notizia data due volte. In effetti qua non smentisco, mi limito a dire che mi è andata bene: un quarto d’ora di colloquio è finito in una sessantina di parole, onore alle doti di sintesi del giornalista.

Poi, però, ecco, a seguire, un commento di Bertoli, riferito alla mia domanda  selezionare o formare?   domanda un poco retorica, ne convengo:

«In realtà è una scelta già fatta con la riforma scolastica del 1990 e ora, semmai, si tratta di concretizzarla – replica Bertoli. Il mio concetto di una scuola dell’obbligo sempre più inclusiva è conclamato […]».

Che sia ora di concretizzare l’arcaica Legge della scuola è possibile e  gradito, a oltre cinque lustri di distanza. Che sia possibile realizzare quelle nobili finalità lasciando tutto il resto immutato mi sembra un po’ azzardato. Che l’attuale parlamento abbia la lucidità per farlo, e per farlo senza cedere ai richiami seducenti delle sirene populiste (con buone ricadute elettorali), lo escludo.

Ho scritto più volte che la riforma scolastica del 1990 è rimasta per tanti versi sulla carta. Tenuto conto della gestazione, dalla durata geologica, e del contesto storico e politico in cui la Legge della scuola del 1990 ha visto la luce, avevo scritto un articoletto, sul Corriere del Ticino, in occasione del suo ventesimo compleanno: «Una legge della scuola incartapecorita». E anche sul tema dell’inclusione avevo pubblicato qualche riflessione in questo sito, circa un anno e mezzo fa: «L’inclusione tra sogni e realtà».

John Dewey, filosofo e pedagogista statunitense (1859-1952)
John Dewey, filosofo e pedagogista statunitense (1859-1952)

Quindi sì, continuo a essere convinto che la scuola dell’obbligo debba finalmente scegliere da che parte stare. A mente mia c’è bisogno di qualche alleggerimento e di tanta serenità nel corso di tutta la durata della scuola dell’obbligo. Per le competizioni feroci ci sarà tempo una vita.

Due o tre cose che so di lei…

No, non è un plagio, davvero. Al titolo del film di Jean-Luc Godard del 1967 ho aggiunto i puntini di sospensione, che non ci sono nell’originale.

Ha detto Godard, a proposito di quel suo film: «Quand on soulève les jupes de la ville, on en voit le sexe», dove la ville è Parigi.

Manifesto Godard deux ou trois chosesLa mia Lei non è Parigi, benché abbia un potere che va ben oltre quello della ville lumière: Lei è una vecchia bagascia, che malgrado gli anni che passano sembra sempre una ventenne. Ma è un principio economico: fin che c’è domanda l’offerta non può mancare, e la domanda è ancora altissima. La sua bravura risiede nella capacità di reinventarsi e adattarsi alle mode. Nel suo genere è un’artista sublime, tanto che ogni suo frequentatore crede di essere l’unico che, ripagato, la sa ripagare. Il suo favorito, insomma.

È una che ha classe, quest’è certo. Tante persone aspirano ai suoi favori, s’inchinano, la rispettano. È sopravvissuta persino al ’68, che ha fatto strame di tante oneste pratiche scolastiche, Sue inconsapevoli vittime.

Certo, è Lei, si è capito: è la notissima Nota scolastica, la Nota più nota di tutte.

Di cose che so di Lei potrei farne un elenco lungo da qui a Papeete, forse anche più in là. Già Chiccolino dove stai? / Sotto terra, non lo sai? era sottoposto al suo malvagio potere. In tenera età la dovevi sapere a memoria, sennò finivi in qualche cerchio scolasticamente infernale. Più tardi la mannaia tagliava ben altre teste: D’in su la vetta della torre antica, / Passero solitario, alla campagna / Cantando vai finché non more il giorno… E poi Né più mai toccherò le sacre sponde / ove il mio corpo fanciulletto giacque; per non parlare del Pio bove, della Cavalla storna, del 5 maggio, senza scordare Quel ramo del lago di Como, che, come è noto, volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti.

Lei ha all’attivo più vittime delle due guerre mondiali e di qualche storica epidemia, come la peste nera o il vaiolo: basti pensare alla matematica, alle date della storia, ai luoghi della geografia.

«La scuola che verrà», il progetto per la scuola del futuro lanciato neanche due anni fa dal nostro Dipartimento dell’Educazione, ha (forse aveva…) un obiettivo rivoluzionario: «Minor rigidità nell’accesso alle formazioni del Secondario II, grazie a un lavoro approfondito di orientamento e alla descrizione delle competenze degli allievi». Tradotto terra terra: si vuole abolire la media del 4.65 di media, naturalmente con riferimento ai corsi cosiddetti attitudinali, quelli solitamente riservati a chi non nasce nudo come un verme, ma strilla i primi vagiti con addosso la camicia d’ordinanza, quella che, secondo le statistiche, ti apre quasi tutte le porte, a prescindere dall’orientamento politico dei tuoi vecchi.

La Regione del 20 novembre scorso ha riferito della conclusione della prima, ampia consultazione sull’ambizioso sogno dipartimentale. Sulla questione rivoluzionaria dell’abolizione dell’iniquo e soggettivo 4.65 ha scritto:

È la proposta che ha accolto in assoluto meno consensi: quella di permettere, alla fine delle Medie, l’accesso diretto a qualsiasi formazione del Secondario II (togliendo quindi la media del 4.65 per il liceo). Critiche si sono levate dagli ambienti scolastici soprattutto per il timore di incidere negativamente sulla motivazione degli allievi e per il rischio di posticipare l’insuccesso scolastico. “Le preoccupazioni sono fondate” valuta oggi il DECS, spiegando di aver deciso di “riorientare la proposta”.

Ergo: la rivoluzione è annullata, a causa del rischio di ammutinamento delle truppe, ufficiali e sottufficiali compresi.

Così, ora, è importante dire quelle due o tre cose che si sanno di Lei.

1. Per prima cosa non è una di bocca buona. Predilige i ricchi. Se non sei ricco, o almeno benestante e anche se ti puzza il fiato, ti devi impegnare molto di più di quegli altri per raggiungere l’acme delle sue imposture.

2. Le piace sembrare scientifica e fatale, ma è una truffa, un trucchetto da imbroglione. Si sa, qua da noi pratica una scala di quattro gradi, dal 3 al 6, oltre ai mezzi punti. Poi c’è chi si sbizzarrisce e usa i più (+) e i meno (–) e mille altre variazioni, roba da far impallidire le sfumature descritte dalla E. L. James. Naturalmente ci cascano in tanti, comprese le nostre scuole, che hanno ad esempio inventato ’sta media del 4.65 e tante altre medie per essere promossi o accolti.

Ma, come dicevo, è tutto un imbroglio. La sequenza 3-4-5-6 non è una scala d’intervallo, vale a dire una scala in cui la distanza fra due valori indica sempre la medesima quantità. Lo sanno tutti che, nel caso delle note scolastiche, la distanza da 3 a 4 è solitamente più grande che, poniamo, da 5 a 6. Ciò significa che, al posto di 3-4-5-6, noi potremmo avere A-B-C-D oppure Mostruoso-Bastevole-Buono-Celestiale. Ma come A + B non fa E, non è neanche vero che, poniamo, 3 in matematica e 6 in italiano fa, mediamente, 4½ in tutt’e due: perché vuol dire che non sai la matematica e sei un mezzo genio in italiano, ma per Lei resti un grigio figurante a mezza tacca.

Ora si pensi che le discipline che contribuiscono a formare questa famigerata soglia del 4.65 sono addirittura nove: nove materie di studio che la scuola riesce a fondere in un’unica «misura», che non significa assolutamente nulla, sebbene abbia significative ricadute su chi può fregarsene e, soprattutto, su chi non se lo può permettere.

3. E dato che ho iniziato col proposito di raccontare due o tre cose che so di Lei, mettiamocene una terza, anche se, naturalmente, ce ne sono molte di più. La Nota non è scientifica e non è nemmeno neutra. Le variabili che concorrono a fare assegnare un 3, un 4 o un 5 in una prova qualsiasi, orale o scritta poco importa, sono innumerevoli, al limite dell’infinito. Andiamo dalla luna storta dell’insegnante al diametro della sua manica; dalla domanda bastarda, inessenziale ai fini della conoscenza, a quella sfuggente e un poco enigmatica; dal docente che ha insegnato bene a quell’altro che non sa neanche cosa siano la pedagogia e la didattica.

Eppure si continua imperterriti a replicare questo teatrino e, da quel che s’intuisce, Nostra Signora della Pagella festeggerà ancora chissà quanti compleanni, senza neanche la necessità di soulever les jupes pour montrer son sexe: perché la povera grulla, in consultazione per la scuola di domani, ha accolto in assoluto meno consensi.

Dalla Russia con passione: un’altra avventura con la musica per le scuole

Per tanti anni ho organizzato i «Concerti per le scuole». Ufficialmente è dal dicembre del 1998, quando avevo affiancato il presidente dell’«Accademia Vivaldi», che li aveva istituiti sette anni prima. Con me e con tanti altri collaboratori occasionali, c’è sempre stato Giovanni Galfetti, amico, collega maestro di educazione musicale quando insegnavo nelle elementari e oggi sensibile e competente insegnante di musica e di didattica della musica presso il Dipartimento Formazione e Apprendimento della SUPSI, nonché esperto di educazione musicale nelle scuole elementari del nostro cantone.

Da quel dicembre di quasi vent’anni fa a oggi ho curato 40 delle 51 edizioni dei «Concerti», portando al Teatro di Locarno – altro prezioso e fondamentale tassello di questa proposta culturale – qualcosa come 92’242 allievi, per lo più delle scuole dell’infanzia, elementari e speciali, sull’arco di 208 repliche.

Ricordo naturalmente con piacere tutte le edizioni, per un verso o per l’altro. Scorrendo la lista dettagliata di tutte le produzioni chiunque farà incontri che possono essere sorprendenti.

Nondimeno lo spunto per parlare dei «Concerti» mi è venuto dalla recente 51ª edizione per tante ragioni, che elenco senza ordine d’importanza.

1. Un po’ di mesi fa Elena Zaccheo, che mi è succeduta alla direzione delle scuole comunali di Locarno, mi ha chiesto di far ripartire i «Concerti», così da mantenere una bella tradizione proposta dalle nostre scuole.

2. Tenuto conto che per le proposte culturali i tempi sono diventati difficili, la direttrice Zaccheo ha pure fatto in modo di trovare un sostegno finanziario esterno: perché i costi non sono imponenti, ma il biglietto d’entrata è fermo a 3 franchi da 25 anni, e non è oggi il caso di adeguarlo. Il sostegno, prezioso, è venuto da ASSIMEDIA, Società di servizi assicurativi dal 1986.

3. Per ripartire ci voleva qualcosa di speciale. Così verso la fine di settembre ho incontrato Andrea Pedrazzini, un giovane e bravissimo musicista che, quando aveva dieci anni, aveva interpretato Mozart bambino nel concerto «Viva Mozart». Era l’inverno del 2003 e ad applaudire vennero in 3’427 (nella hit parade “quantitativa”, solo «Ai miei nonni piace il rock» fece di meglio).

Andrea Pedrazzini

4. Andrea mi propose un concerto-spettacolo centrato sulla musica russa, che io accettai al volo. Mi disse inoltre che avrebbe costituito un’orchestra di 10/15 giovani musicisti e che avremmo dovuto cercare un narratore/presentatore. Lo spettacolo si sarebbe chiamato Promenade all’est della musica – Una passeggiata nella musica classica dell’Europa orientale.

5. Alla fine non è andata così, per niente. Il narratore/presentatore è stato un bravissimo Fabio Doriali, che assieme ad Andrea, pianista, a Deolinda Giovanettina, violinista, e a Elide Garbani Nerini, flautista, ha vestito i panni degli autori del concerto-spettacolo.

Da sinistra Elide Garbani Nerini, Arseniy Shkaptsov, Deolinda Giovanettina e Fabio Doriali
Da sinistra Elide Garbani Nerini, Arseniy Shkaptsov, Deolinda Giovanettina e Fabio Doriali

6. E, sempre alla fine, i 10/15 sono diventati 20, età media 27 anni e qualcosa, provenienti dai quattro angoli del globo: oltre a otto svizzeri, l’orchestra annoverava un iraniano, due italiani, una lituana, un’olandese, un russo, due spagnoli, uno statunitense e una venezuelana. E sono felice di poterli elencare per esteso, proprio com’era scritto sulla locandina del concerto: Mohammad Shelechi (direttore), Christina Buttner, Deolinda Giovanettina, Kamile Maruskeviciute, Livia Roccasalva (violino), Daria Canova, Silvia Concas, Sara Martinez (viola), Giacomo Brenna, Ulisse Roccasalva (violoncello), Grecia Crehuet (contrabbasso), Elide Garbani Nerini (flauto e ottavino), Daniel Souto (oboe), Alba Dominguez (clarinetto), Arseniy Shkaptsov (fagotto), Johan Warburton (corno), Giuseppe Cima (tromba), Mattia Terzi (percussioni), Andrea Pedrazzini (pianoforte) e Fabio Doriali (narratore).

Gran finale con la Danza ungherese n° 5 di Johannes Brahms
Gran finale con la Danza ungherese n° 5 di Johannes Brahms

7. I brani e gli autori proposti nei 55 minuti del Concerto sono partiti da un breve accenno della Moldava di Bedřich Smetana, per terminare con la Danza ungherese n° 5 di Johannes Brahms. In mezzo Modest Musorgskij, Dmitrij Šostakovič, Igor’ Stravinskij, Pëtr Il’ič Čajkovskij e Sergej Rachmaninov.

Il Maestro Mohammad Shelechi.
Il Maestro Mohammad Shelechi.

Per me sono stati due giorni emozionanti: per la bellezza del repertorio proposto; per la simpatia, la modestia e la bravura di tutti i venti giovani sul palco; e perché il pubblico ha gradito e si è appassionato.

Chi non ci crede ascolti questa esecuzione del Valzer n° 2 dalla Suite per orchestra di varietà di Šostakovič: dura meno di due minuti, ma ne vale la pena per davvero.

E se proprio il tempo è tiranno – versione diplomatica del più noto «Il tempo è denaro» – si può ascoltare questa abbreviazione di pochi, significativi secondi:

 

Archi e non solo

Ora, però, è giunto il momento di pensare alla 52ª edizione.

La scuola, la religione e i giochini della politica

Parliamo nuovamente di scuola e religione. Anche se ai più non interessa, qualche giorno fa il parlamentare radicale Matteo Quadranti ha ritirato l’iniziativa che chiedeva l’insegnamento della storia delle religioni, un atto parlamentare radico-socialista che aveva ereditato nel 2011, quando entrò in Gran consiglio. Raccontano le cronache che a Quadranti abbia dato molto fastidio che la Commissione scolastica «stava optando per un sistema misto, che non era quanto proposto dall’atto parlamentare». L’uso dell’aggettivo «misto» è certamente retorico, se solo si pensa, per fare un esempio, che il suo collega di partito Giorgio Pellanda appoggia convinto il sistema misto: cattolici e protestanti continuano con le loro ore di catechismo dentro la scuola pubblica, mentre chi non sceglie né l’una né l’altra va obbligatoriamente al corso di storia delle religioni. Non è naturalmente quel che auspicava nel 2002 chi propose di sopprimere le ore di religione cattolica ed evangelica, a favore di una soluzione più moderna.

Va da sé che l’inatteso arretramento non ha lasciato indifferenti altri parlamentari della Repubblica. A Fiorenzo Dadò, capogruppo PPD, la mossa di Quadranti dev’esser sembrata una specie di visione, tanto che ha subito dichiarato di voler tenere in vita il sistema misto, che strizza l’occhio ai voti cattolici: «Il tema è centrale e si rivolge ai nostri giovani. Di fronte a quanto avviene nel mondo è fondamentale che nel corso della formazione scolastica i giovani abbiano l’opportunità di conoscere tutte le sfaccettature della nostra cultura, e le religioni sono un fattore importante per sviluppare una maggiore conoscenza. Come politici non possiamo chiamarci fuori: è nostro compito dare alla gioventù gli strumenti per affrontare le sfide che si presentano davanti a noi e che sono sotto gli occhi di tutti. Si tratta di sfide culturali che determineranno la costruzione della nostra società futura. Il sistema misto permetteva di andare in questa direzione, tenendo conto di tutte le sensibilità, indipendentemente dal fatto che uno sia credente o meno».

Pare indubbio che il nostro non sia un paese maturo per fondare uno Stato laico, al di là di chiacchiere e ipocrisie sempre più diffuse. Temo che dietro le resistenze della chiesa cattolica, che difende a spada tratta la presenza dei suoi catechisti dentro le griglie orarie della scuola dell’obbligo, non vi siano solo delle ragioni di Fede, ma anche interessi più profani. D’altro canto la scuola pubblica e obbligatoria (e laica solo a tempo perso) non riesce più a educare per davvero i suoi cittadini, se è vero che le percentuali dei votanti si avvicinano viepiù a quelle di chi frequenta i corsi di religione a scuola (che son comunque più di quelli che vanno in chiesa). Non è con i corsi confessionali o la storia delle religioni che si educa al rispetto, così come non è attraverso l’insegnamento dell’educazione civica che si formano «persone in grado di assumere ruoli attivi e responsabili nella società e di realizzare sempre più le istanze di giustizia e di libertà».

A una scuola sempre più tecnocratica, che rischia di crescere schiere di idioti specializzati, continuo a preferire che si insegnino i linguaggi fondamentali per conoscere e capire il mondo: la lingua e la matematica in testa, e poi le arti e le tante discipline che hanno sin qui contribuito a portarci nel XXI secolo, ben oltre le insensate selezioni che ritmano con perfidia gli anni scolastici.