La meritocrazia e «La scuola che verrà»

Ammetto che stamattina mi è proprio scappata, la parolaccia. E ad alta voce, tanto che quei tre gatti agli altri tavoli del bar, anche loro con la testa tra le pagine del quotidiano, mi hanno guardato per un attimo con una certa perplessità. Ma quando si leggono certe perle è difficile trattenersi.

A pagina 4 del mio quotidiano del momento c’era un articolo che riferiva della riunione del comitato cantonale del Partito Popolare Democratico, che si era svolta la sera precedente a Sant’Antonino. Niente di particolarmente eccitante, insomma, le solite cronache della politica nostrana, che, in vista delle elezioni cantonali dell’aprile prossimo, riferiscono di queste rappresentazioni elettorali.

Dopo una colonna e mezza coi soliti battibecchi riferiti agli “avversari politici”, ecco la raffinatezza che m’ha fatto perdere il fair play. Ha riferito il giornalista che Fabio Regazzi, attuale consigliere nazionale e candidato al consiglio di stato, si è soffermato in maniera critica sulla riforma della scuola dell’obbligo illustrata la scorsa settimana dal DECS – che sarebbe poi il progetto La scuola che verrà, di cui ho scritto domenica scorsa. Lapidario anche lui: «Ritengo fondamentale ristabilire la meritocrazia, cosa però difficilmente raggiungibile con la soppressione di valutazioni e licenze».

C’è nell’aria una gran puzza di cose già vissute e ampiamente sperimentate. Eppure siamo ancora da quelle parti, col dubbio atroce, come ho scritto domenica, che in tanti, dentro e fuori la scuola, la pensino esattamente allo stesso modo. Però…

Come si fa a essere sicuri che non abbiano ragione Tarchini, Regazzi e i tanti che la pensano come loro? In fondo le statistiche ci dicono quasi sempre che più i genitori si trovano nelle parti alte delle classifiche della ricchezza, economica e/o culturale, più i figli prenderanno note migliori a scuola. E viceversa. Allora se ne prenda atto. Anzi, la meritocrazia, cioè il dominio dei meriti, potrebbe cominciare già all’entrata nella scuola, ad esempio mettendo insieme, in classi omogenee, tutti i figli il cui padre è nato prima di loro.

Ha scritto l’indimenticabile Fortebraccio: «L’onorevole Cariglia si vanta, giustamente, di essere “venuto su dal nulla” e quando parla lo fa per dimostrare che c’è rimasto». Succede a molti e un po’ dappertutto: basta avere i meriti.

Certo, nel paese che diede i natali a Jean-Jacques Rousseau e a Johann Heinrich Pestalozzi si potrebbe immaginare di riuscire a creare una scuola che verrà dove imparare bene sia più importante che prendere belle note. Si può fare, a condizione che ci credano per primi quelli che la scuola la fanno giorno dopo giorno, con impegno, competenza e passione.

2 commenti su “La meritocrazia e «La scuola che verrà»”

  1. Il concetto di lotta di classe mi sembra più che mai attuale. La teoria di Bourdieu avrà ancora parecchio futuro!
    Il rischio di ripetermi è alto, ma lo devo fare anche oggi! La nostra scuola occidentale, in nome del merito, produce disadattamento scolastico e, in fondo, disadattamento sociale. Non lamentiamoci di quelle poche ragazzate e bravate fatte dai giovani di oggi nelle nostre piazze e vie. È niente in confronto a quanto succederà quando questi giovani si renderanno conto che sono stati sacrificati in nome di un merito che, secondo alcuni, non avranno mai avuto. Allora sì, che bisognerà mettere le proprie auto al sicuro prima che siano incendiate!! Il principio di pari opportunità (égalité des chances) fa comodo ai partiti borghesi, perchè è un alibi che permette di mantenere la relatività del successo rispetto alla propria condizione sociale. Provate a chiedere a questi partiti se sono d’accordo di sostituire il principio di pari opportunità con un principio di uguaglianza degli apprendimenti (égalité des apprentissages)?

  2. Ma perché “allievi meritocratici” dovrebbe essere sinonimo di “figli della borghesia”? So che oggi accade così, ma succede solo per una “viziata interpretazione” del termine meritocratico (o per una disfunzione del sistema?). E questo mi pone di fronte a un’altra questione: chi dice che tolte le note e tolti i livelli (e non lo chiedo perché sono contraria o per farti imprecare, ma solo per capire) automaticamente verranno eliminate le differenze tra le classi sociali?

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