La scuola, la religione e i giochini della politica

Parliamo nuovamente di scuola e religione. Anche se ai più non interessa, qualche giorno fa il parlamentare radicale Matteo Quadranti ha ritirato l’iniziativa che chiedeva l’insegnamento della storia delle religioni, un atto parlamentare radico-socialista che aveva ereditato nel 2011, quando entrò in Gran consiglio. Raccontano le cronache che a Quadranti abbia dato molto fastidio che la Commissione scolastica «stava optando per un sistema misto, che non era quanto proposto dall’atto parlamentare». L’uso dell’aggettivo «misto» è certamente retorico, se solo si pensa, per fare un esempio, che il suo collega di partito Giorgio Pellanda appoggia convinto il sistema misto: cattolici e protestanti continuano con le loro ore di catechismo dentro la scuola pubblica, mentre chi non sceglie né l’una né l’altra va obbligatoriamente al corso di storia delle religioni. Non è naturalmente quel che auspicava nel 2002 chi propose di sopprimere le ore di religione cattolica ed evangelica, a favore di una soluzione più moderna.

Va da sé che l’inatteso arretramento non ha lasciato indifferenti altri parlamentari della Repubblica. A Fiorenzo Dadò, capogruppo PPD, la mossa di Quadranti dev’esser sembrata una specie di visione, tanto che ha subito dichiarato di voler tenere in vita il sistema misto, che strizza l’occhio ai voti cattolici: «Il tema è centrale e si rivolge ai nostri giovani. Di fronte a quanto avviene nel mondo è fondamentale che nel corso della formazione scolastica i giovani abbiano l’opportunità di conoscere tutte le sfaccettature della nostra cultura, e le religioni sono un fattore importante per sviluppare una maggiore conoscenza. Come politici non possiamo chiamarci fuori: è nostro compito dare alla gioventù gli strumenti per affrontare le sfide che si presentano davanti a noi e che sono sotto gli occhi di tutti. Si tratta di sfide culturali che determineranno la costruzione della nostra società futura. Il sistema misto permetteva di andare in questa direzione, tenendo conto di tutte le sensibilità, indipendentemente dal fatto che uno sia credente o meno».

Pare indubbio che il nostro non sia un paese maturo per fondare uno Stato laico, al di là di chiacchiere e ipocrisie sempre più diffuse. Temo che dietro le resistenze della chiesa cattolica, che difende a spada tratta la presenza dei suoi catechisti dentro le griglie orarie della scuola dell’obbligo, non vi siano solo delle ragioni di Fede, ma anche interessi più profani. D’altro canto la scuola pubblica e obbligatoria (e laica solo a tempo perso) non riesce più a educare per davvero i suoi cittadini, se è vero che le percentuali dei votanti si avvicinano viepiù a quelle di chi frequenta i corsi di religione a scuola (che son comunque più di quelli che vanno in chiesa). Non è con i corsi confessionali o la storia delle religioni che si educa al rispetto, così come non è attraverso l’insegnamento dell’educazione civica che si formano «persone in grado di assumere ruoli attivi e responsabili nella società e di realizzare sempre più le istanze di giustizia e di libertà».

A una scuola sempre più tecnocratica, che rischia di crescere schiere di idioti specializzati, continuo a preferire che si insegnino i linguaggi fondamentali per conoscere e capire il mondo: la lingua e la matematica in testa, e poi le arti e le tante discipline che hanno sin qui contribuito a portarci nel XXI secolo, ben oltre le insensate selezioni che ritmano con perfidia gli anni scolastici.

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