Tra due giorni per gli scolari ticinesi inizierà la lunga pausa estiva: fino al due settembre, insieme alle loro famiglie, assaporeranno le spiagge tropicali, s’inerpicheranno per boschi e monti alla ricerca di tranquillità, avventura e aria salubre, e i più grandicelli non disdegneranno un breve periodo sulla costa adriatica, non tanto per immergersi in quel mare oleoso e stipato di carni frollate, quanto per tuffarsi nel più colossale divertimentificio d’Europa. In fin dei conti undici settimane di incontrastate vacanze permetteranno una reale decontaminazione dall’affaticamento scolastico, soprattutto quest’anno che le vacanze pasquali risalgono ormai a tanto tempo fa. Naturalmente la pausa estiva allieterà anche gli insegnanti, pur considerando che – per la logica delle cose – durerà un po’ meno. Lungi da me l’idea o la voglia di far dell’ironia e di togliere dalla naftalina la vetusta barzelletta sui tre maestri che, insieme, fanno un anno di vacanza: un po’ perché essere insegnante oggi è difficile e logorante, e un po’ perché, nel complesso, noi ticinesi non facciamo più vacanze dei nostri connazionali a est o a ovest del Röstigraben.
Però dovrò ugualmente rassegnarmi all’annuale – e tutta estiva – tiritera del mio vicino di casa: l’amico Fritz affitta un appartamento di vacanza in cui trascorre gran parte delle sue vacanze scolastiche con la famiglia; arriverà quando io sarò già in vacanza da tre settimane e, a inizio agosto, quando comincerà a far le valigie per lasciare il Ticino, mi chiederà quando esordirà il nuovo anno scolastico nella Sonnenstube: quando gli dirò che torneremo a scuola ad inizio settembre, non saprà starsene zitto e controllare i movimenti del viso. Come al solito sarò vittima della sua ironia e dei logori luoghi comuni sui ticinesi: levantini e un po’ indolenti, più cicale che formiche, amanti dell’ozio e del divertimento, denigratori dell’impegno e dell’operosità teutonica.
È vero che nessuno fa tante vacanze durante l’estate come noi. Mediamente, in Svizzera, la pausa estiva dura sei settimane, con una punta minima di tre settimane in Argovia e una massima di otto nel Vallese. Però si dà il caso che la durata dell’anno scolastico è più o meno simile in tutto il Paese, il che significa che gli altri cantoni avranno più vacanze di noi in autunno, a carnevale (loro le chiamano Sportferien) e a Pasqua. O no? A dire il vero, anche Fritz qualche ragione ce l’ha, perché in tutta la Svizzera si va obbligatoriamente a scuola per almeno nove anni e per un minimo di trentotto settimane all’anno. Questo è quanto hanno stabilito i cantoni svizzeri nel 1970 (Concordato sulla coordinazione scolastica), ma il Ticino a quell’accordo non ha ancora aderito: da noi, come si sa, la scuola obbligatoria dura nove anni, ma la durata dell’anno scolastico è di trentasei settimane e mezza.
Proprio così, non trentasei o trentasette, ma trentasei e mezza. Quali alchimie sorreggano tutti questi modelli di calendario scolastico del nostro paese non è dato sapere. È legittimo credere che dietro decisioni tanto o poco definitive e incontrovertibili non vi sia null’altro che la tradizione. Una pausa più lunga o più corta in estate o in autunno, solleverebbe qui e altrove chissà quale putiferio. Ma tant’è: dal punto di vista scientifico non esiste un calendario “giusto”. Se si chiede un parere ad un qualsiasi ticinese, vi dirà che, in ogni modo, d’estate fa troppo caldo per andare a scuola, mentre un argoviese, quasi certamente, argomenterà che due e più mesi di vacanza rappresentano una sorta di formattazione del cervello. In realtà romandi, svizzerotedeschi e ticinesi s’assomigliano più di quel che si è portati a credere, e in base alle attitudini e alle conoscenze sarà duro distinguere un adulto che passava le estati della sua giovinezza a pancia all’aria, da quell’altro che, al contrario, sgobbava sui libri a mezz’agosto.
Per quanto mi concerne, non è tanto importante la quantità di scuola da affrontare, ma la sua qualità. I calendari scolastici rispondono soltanto a esigenze di custodia; sul piano dei sostanziali obiettivi della scuola, potremmo restarci di meno o di più, potremmo allungare o accorciare le giornate di scuola, le settimane, le vacanze. Oggi non esiste più – né in Ticino né altrove – una data “giusta” per dare inizio all’anno scolastico, una durata “giusta” delle vacanze estive, un’ora “giusta” per iniziare e terminare le lezioni… Di questi tempi il nostro DIC sta incentivando doposcuola e mense a tutto raggio, per sopperire ai bisogni di custodia dei nostri allievi. A questo punto varrebbe la pena d’essere conseguenti fino in fondo, creando un anno scolastico flessibile di venticinque settimane per gli allievi e di quaranta per i loro insegnanti: si risolverebbe il problema dell’aggiornamento e della formazione continua e ci si adatterebbe di più alle esigenze di padri e madri che lavorano.
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