Il festival del film di Locarno, l’attualità brutale e la forza educativa del dubbio

Durante i giorni del suo Festival del Film, Locarno, la cittadina in cui vivo e sono nato, è bellissima. Anche se non lo seguo più, colpevolmente!, da troppi anni mi piace gironzolare nei luoghi del Festival. Quand’ero un bambino e si svolgeva nel parco del Grand Hôtel, ne sentivo parlare, credo per il glamour e l’attrattività turistica.

Per quel che posso ricordare, penso di aver visto il primo film nel 1969, al cinema Rex: Tres tristes tigres, del regista cileno Raúl Ruiz. Leggo ora in Wikipedia che quell’anno Ruiz vinse il pardo d’oro. Io avevo sedici anni, ricordo il titolo e nulla più.

Il festival l’ho seguito molto intensamente per quasi un decennio, forse a partire dal 1973, quando vinse Illuminacja di Krzysztof Zanussi.

Quando si teneva in autunno e al chiuso delle sale, i locarnesi lo guardavano di sbieco, lo consideravano uno spreco di soldi pubblici per sinistrorsi un po’ pallidi. Poi arrivò sulla Piazza Grande in piena estate, ma coi residenti non andò meglio: fosse stato per gran parte di loro, il più piccolo dei grandi festival avrebbe potuto chiudere i battenti, senza troppi rimpianti.

Manifestino locarno2016

Per fortuna c’è stato chi ha continuato a crederci, e oggi è una realtà incantevole.

Stamattina ho fatto un giro dalle parti di Piazza Grande. Che tristezza: gente coi trolley al seguito diretti alla stazione dei treni, gli studi RSI in via di smontaggio, qua e là pulmini e auto pardate, pronte a trasportare i nostri ospiti alla Malpensa o chissà dove. Come se non fosse abbastanza, tra due settimane riapriranno le scuole, e già domenica ritroveremo nelle cassette i settimanali gratuiti. Il Ticino di sempre.

L’edizione che si è chiusa ieri sera sarà ricordata per la presenza palpabile di un fitto servizio di sicurezza. Ha detto il presidente, Marco Solari: «Sulle misure di sicurezza a mio modo di vedere è stato emblematico quanto accaduto in piazza Grande durante la serata inaugurale. Dopo aver ringraziato la politica, che ci dà fiducia senza travalicare la linea rossa dell’ingerenza nei contenuti, l’economia privata, per la quale sostenere il Festival non significa solo firmare uno chèque ma offrire anche qualcosa in più a livello di servizi, per la prima volta, in modo spontaneo, ho ringraziato anche la polizia e le forze dell’ordine. E l’applauso che è partito dal pubblico ha dimostrato che i tempi sono cambiati, che la gente non solo non è infastidita dalle misure di sicurezza ma è grata per le misure che sono state prese, anche grazie a una precisa volontà politica» (Corriere del Ticino del 13 agosto, pag. 29).

Solari spiega, in un’intervista al Giornale del Popolo: «All’inizio del festival c’era un’atmosfera di tensione, il ricordo di quello che era successo a Nizza, a Monaco, in Germania e a Padre Hameg – che mi ha colpito moltissimo – si percepiva».

Le-Ciel-attendra
Le Ciel attendra

Oltre a ciò l’8 agosto la Piazza Grande ha accolto Le Ciel attendra, film francese sul tema del reclutamento dei giovanissimi da parte degli integralisti dell’Isis. «Il festival del film di Locarno – chiarisce ancora Solari – non sceglie un determinato film perché tocca un certo argomento, pur attuale. A Locarno si accetta un film perché è fatto alla perfezione: è il film che suscita il dibattito, non il dibattito che precede il film. Le ciel attendra è stato scelto perché adempiva a tutti i criteri. E vi posso dire che, in 16 anni, è stato uno dei pochi momenti in cui io, come presidente, sono stato coinvolto, perché altrimenti la libertà del direttore artistico è quasi totale. Ho visto il film e sono arrivato alla conclusione che se non avessimo mostrato la pellicola per paura, Locarno avrebbe perso il suo senso più profondo, la sua ragion d’essere. Ed eravamo tutti d’accordo» (Corriere del Ticino del 13 agosto, pag. 29).

Già. Viviamo tempi complessi e violenti. All’indomani dell’attentato terroristico sulla Promenade des Anglais ho inviato un messaggio di solidarietà a un amico di Nizza, che mi ha risposto quasi subito: «Je n’arrive pas à mettre des mots devant une telle horreur. Je suis historien et je ne comprends pas au nom de qui ou de quoi, hier à Nice ou chaque jour dans le monde, une telle atrocité peut être commise. Et contrairement à ce que disent les politiques, il ne s’agit pas d’une guerre, mais de crimes contre l’humanité – ou alors nous basculons dans l’indicible et “la terre serait une cage splendide pour des animaux qui n’auraient rien d’humain”, comme l’écrivait Albert Camus dans ses Carnets».

Magari la presenza per dieci giorni, nella nostra tranquilla cittadina, di poliziotti armati a ogni angolo di strada ci ha fatto capire che la realtà che ci circonda non si risolve con le semplificazioni, i muri, i proclami, le petizioni. Non c’è nulla di semplice in quel che sta succedendo attorno a noi. E si rischiano le psicosi e la xenofobia al rialzo.

A fine agosto migliaia di allievi, studenti e insegnanti torneranno al loro tran tran scolastico. Chissà se, oltre ai rimpianti per le vacanze concluse e per l’estate che si sfilaccerà in tempi brevi, ci sarà pure un posto privilegiato per riflettere su questi temi, che toccano tutti noi? C’è da augurarsi che nelle nostre aule ci sia chi offrirà ai suoi allievi l’opportunità di parlare della Francia e della Germania, della Siria e della Libia, e di tanto altro che si ascolta e si legge giorno dopo giorno: non per creare certezze o sciocche sicurezze (anzi: meglio sgretolarle subito!), ma per capire che la Storia è complicata e che i dubbi sono preziosi, molto preziosi.

Sarebbe bellissimo.

2 commenti su “Il festival del film di Locarno, l’attualità brutale e la forza educativa del dubbio”

    1. Grazie, caro Marco.
      Metà del merito, però, è dovuto all’amico di Nizza, che ho conosciuto grazie a te: mi ha lasciato un messaggio appassionato e commovente, che poi ha iaspirato la mia semplice riflessione.

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