Scuole comunali: quale futuro?

Con un titolaccio a effetto – “Scuole comunali al Cantone?” – il Giornale del Popolo ha lanciato negli ultimi scorci di questa penosa estate un interrogativo che non mancherà nei prossimi mesi di animare il dibattito attorno alla scuola pubblica ticinese. È difficile capire in dettaglio quali motivi stiano alla base di quello che il capo del nuovo Dipartimento dell’Educazione, della Cultura e dello Sport (nuovo nel nome, almeno per ora) non esita a indicare come uno dei temi della prossima legislatura. Ma già quell’articolo offre qualche riscontro.
Per prima cosa, Gabriele Gendotti afferma che “Il principio è giusto” perché “i Comuni, a parte le nomine, non hanno competenze di grande rilievo”. Nello stesso servizio, il capo della divisione della Scuola Diego Erba sottolinea che “… se è vero che il Cantone sussidia i docenti delle scuole dell’infanzia ed elementare, è pur anche vero che i Comuni mettono a disposizione edifici, personale amministrativo, di pulizia, materiale scolastico, scuole montane, doposcuola”. Erba, che è uno che soppesa le parole e non parla mai a vanvera (soprattutto coi giornalisti), non cita i direttori, i docenti speciali e quelli d’appoggio tra le “cose” messe a disposizione dai Comuni: l’omissione non è certo casuale, anche se – per il momento – è di ostica interpretazione.
In secondo luogo, lo stesso Consigliere di Stato mette l’accento sulla variopinta disponibilità finanziaria di cui possono fruire i Comuni, ciò che rischia di creare scuole di categoria A e Z: ecco quindi che l’accentramento di tutte le scuole sotto un unico cappello ministeriale riuscirebbe là dove la politica sussidiaria del Cantone sembra non poter arrivare: creare delle scuole comunali di categoria M, tutte uguali, tutte equamente né ricche né povere. Tutte medie. Ora è indubbio che non tutte le scuole comunali possono appoggiarsi su risorse finanziarie considerevoli; c’è chi è costretto a tirare la cinghia e a farla tirare ai suoi insegnanti, e c’è chi – al contrario – si può permettere fastosità che, in ogni modo, non necessariamente incidono sulla qualità dell’istruzione e dell’educazione.
Ma è pur lecito ricordare che le ristrettezze economiche in cui versano alcune scuole comunali sono state determinate da quello stesso Cantone che, negli ultimi anni, ha imposto nuovi servizi e nuove disposizioni e nuove spese e, nel contempo, ha falcidiato sussidi con la leggiadria di un norcino. Si pensi, ad esempio, che durante l’ultimo decennio i disposti cantonali in materia scolastica hanno indotto la creazione di direzioni scolastiche un po’ dappertutto, tanto che i direttori son quasi raddoppiati, anche se sono stipendiati interamente dai Comuni e dai Consorzi (ed è forse anche grazie all’incremento del numero dei direttori che il Cantone, a partire da lunedì prossimo, potrà fare a meno di un cospicuo numero di ispettori scolastici).
Fortunatamente, almeno fino all’altro ieri, non c’era l’abitudine di valutare le scuole in base alla tempra finanziaria. E in effetti non ci vuol molto a capire che vivere a caviale e champagne non sia più giovevole alla salute che una sana – e non certo principesca – dieta mediterranea. In altre parole: siamo sicuri che le scuole dei comuni più spiantati falliscano, là dove la prosperosa Lugano riesce a plasmare allievi “…in grado di assumere ruoli attivi e responsabili nella società e di realizzare sempre più le istanze di giustizia e di libertà”? Chi l’ha detto? Quand’è stata fatta l’ultima verifica comparata? Quali sono gli indicatori da esaminare per affermare se una scuola funziona bene o male?
Oggi, a sentire i grands commis della scuola di Stato, si direbbe che i tratti qualificanti della scuola risiedano nell’informatica e nell’insegnamento delle lingue moderne, inglese in primis. Nel frattempo abbiamo visto che anche i quindicenni ticinesi, in quanto a padronanza della lingua madre, se la cavano maluccio. Certo, non tutte le scuole comunali sono allacciate a internet e, come afferma Gendotti parlando col GdP, qualche maestro è in difficoltà davanti all’insegnamento del francese. Ma, nel contempo, ci si è sempre vantati del fatto che la scuola comunale è una scuola viva e vivibile, che ha saputo affrontare prima del Cantone problematiche nuove e, a volte, complesse: con l’intelligenza e la fantasia prima che col vil denaro. Perché l’eutanasia, allora?

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