La nascita è sempre un avvenimento di grande portata emotiva, in primo luogo per i genitori, i possibili fratelli maggiori e il parentado più prossimo. Quando i genitori, poi, sono persone importanti, il momento della venuta al mondo assume i contorni dell’Evento pubblico – oltre che lieto – con tanto di presentazione al Tempio e, ai giorni nostri, inevitabile intervento compatto dei massmedia.
Così è stato anche per l’Alta Scuola Pedagogica, nata più o meno in sordina il 19 febbraio di quest’anno, ma presentata al grande pubblico lunedì scorso, attraverso una gessatissima cerimonia di inaugurazione, che ha richiamato sulle scomode poltrone del Teatro di Locarno una lunga trafila di VIP del mondo pedagogico e politico ticinese, attorniata da zii e prozii, cugini di primo e di secondo grado, nonni, abiatici, suoceri e cognate.
Chi si aspettava una festa – un tripudio di idee e di fervori – ha però lasciato Locarno con le pive nel sacco. Diremo subito che le note più giovani e festose sono venute dall’ensemble di chitarristi della Scuola Popolare di Musica di Locarno, che ha ingentilito la liturgia, portando in platea una ventata di giovinezza e di futuro, che certo non stonava con quello che avrebbe dovuto essere uno sguardo sull’avvenire. Non che ci aspettassimo chissà quali circonvoluzioni retoriche da parte del Dipartimento e della Direzione della nuova scuola. Il Consigliere di Stato Gabriele Gendotti ha tracciato a grandi linee la genealogia recente dell’ASP e ha giustamente sottolineato l’importanza sempre più crescente della formazione dei formatori, affinché la scuola frequentata dai nostri bambini e dai nostri giovani possa crescere in sintonia con il resto della Società, dotandosi dei mezzi necessari per farli diventare cittadini consapevoli e critici.
Non così il Direttore della neonata Alta Scuola Pedagogica, che ha esordito con un breve richiamo alle radici lontane della Scuola Magistrale – voluta dal Franscini nella seconda metà dell’800 – per poi smarrirsi nei meandri tecnico-statistici dell’inauguranda scuola, in un crescendo di ingegneria proto-istituzionale e di ineluttabile invito allo sbadiglio. È poi toccato a Piero Bertolini, insigne professore dell’università di Bologna, tentare una prolusione degna di tale definizione: compito che Bertolini ha svolto in modo plausibile, mettendo in luce il lato più propriamente politico e ideologico della pedagogia e richiamando l’assoluta necessità, per una scuola democratica, di escogitare l’indispensabile coesione tra concetto di formazione e prassi educative. Insomma: i formatori di domani (ma già quelli di oggi!) dovranno sempre più fronteggiare l’ingrato compito di capire il mondo circostante per contribuire alla crescita culturale e civile del Paese, superando alcuni sciocchi ideologismi di un passato che sembra lontanissimo – quello dell’antiautoritarismo a oltranza –, ma evitando nel contempo di cadere negli autoritarismi tanto in voga di questi tempi.
Per carità, nulla di originale: son cose che Bertolini scrive da almeno vent’anni, tanto che qualcuno – al di là di ogni provincialismo – s’è chiesto se la lezione inaugurale non doveva essere assunta da Janner in persona. Ma qualcuno doveva pur dirle, certe cose, perché il lungo e tormentato travaglio dell’Alta Scuola Pedagogica e l’eccessiva (involontaria?) sobrietà del suo battesimo potevano suscitare una sorta di umiltà posticcia, quasi che i genitori si vergognassero della loro nuova creatura, di cui nessuno – sembrerebbe – vuole assumersi la paternità: e in tal senso, lunedì non sono mancati accenni plurimi alla Confederazione e al Gran Consiglio, considerati come scellerati e un po’ tetri ispiratori dell’Alta Scuola Pedagogica: come dicono i bambini, “Non sono stato io!”.
Da parte nostra auguriamo all’Alta Scuola Pedagogica di saper crescere forte e sana, a dispetto di chi ha voluto un battesimo in tono minore. Sappiamo che i problemi sono tanti e importanti, ma all’interno dell’ASP non mancano le personalità in grado di lasciare un’impronta qualificante, mirando ad una scuola autenticamente democratica e attenta alle aspirazioni delle nuove generazioni e alle speranze del Paese. C’è solo da augurarsi che al momento della Confermazione la festa sia finalmente tale e che a nessuno venga nuovamente in mente di metterne in dubbio la paternità: in fondo anche l’ASP è figlia di questo paese e merita tutti i nostri sforzi e tutto il rispetto dovuto.
A cominciare dai suoi padri.