Giovani, buone maniere e impegno dei genitori

“I giovani di oggi non hanno rispetto di nulla e di nessuno!”: lo si sente spesso ripetere, soprattutto da chi era ragazzo durante l’ultima guerra. Loro lo dicono e molti altri lo pensano. E aggiungono: tutta colpa della scuola, che non insegna più le buone maniere e – quindi – anche il rispetto per le persone e per le cose. Leggendo La Regione di sabato scorso si direbbe che abbiano ragione. Il quotidiano bellinzonese descrive le eroiche gesta di una banda di cialtroni che, a quanto pare, imperversa da un po’ di tempo alla stazione Ffs di Locarno: i teppistelli insultano, ti sputano in faccia, occupano convogli, rubano, insudiciano, graffiano carrozzerie, si ubriacano, minacciano. Scrive il cronista: “Tutti i giorni il gruppo gioca al gatto e al topo con la Polizia e con i ferrovieri, in un continuo rincorrersi per la stazione. Lo scopo degli uni è danneggiare convogli, disturbare il normale lavoro degli impiegati Ffs, salire sui treni in sosta per occuparli e renderne di fatto impossibile l’utilizzazione da parte dei passeggeri; l’obiettivo degli altri è cercare di limitare i danni, di ‘far presenza’ per circoscrivere lo strapotere della banda”.
Beh, a leggere notizie come questa verrebbe voglia di dar ragione a chi se la prende con la scuola e con la gioventù, anche se è grande il pericolo di buttar via il pupo con l’acqua sporca. D’altra parte in chi è adulto, ma non ancora in odore di pensionamento, cresce l’impressione che a fronte di genitori assolutamente incapaci di educare i loro figli, vi sia uno Stato vieppiù rinunciatario. Sul CdT di venerdì scorso Romano Piazzini, comandante della Polizia cantonale, ha scritto che “Non sono rari i casi in cui pattuglie di polizia, accompagnando a casa giovani minorenni sorpresi in giro a notte fonda spesso in preda ad alcol e droghe, vengono aspramente biasimate dai genitori. ‘Non avete di meglio da fare? Correte dietro ai ladri invece di infastidire i nostri figli’, sono frasi ricorrenti (e fra le più gentili).”
È ovvio che se il comandante della polizia si limitasse a prendere atto di una simile tendenza senza nulla aggiungere, dovremmo concludere che è uno sprovveduto e che la nostra sicurezza è in pessime mani. Ma Piazzini, partendo dal rilievo dei suoi agenti, lancia un poderoso macigno nell’acqua cheta dello stagno, riferendo di un ampio dibattito che ha attualmente corso in Francia. Le autorità politiche e giudiziarie transalpine sembrano infatti decise a richiamare i genitori dei minorenni alle loro precise responsabilità, tanto che – riferisce Piazzini – “Nel 1998 il ministro di giustizia rammentava ai procuratori pubblici l’esistenza dell’art. 227-17 del Codice penale francese in virtù del quale è possibile condannare un genitore a due anni di detenzione qualora abbia compromesso la salute, la sicurezza, la moralità o l’educazione di un figlio minorenne”.
Insomma: in Francia il dibattito è aperto e sarebbe utile che s’aprisse anche da noi. Perché un conto è incolpare la scuola di non educare e la polizia di non occuparsi dei ladri (ma i ragazzi della stazione locarnese che fanno? un garbato minuetto?), e un altro tentare seriamente di risolvere un problema che di sicuro si acuirà, se tutti insieme non saremo in grado di analizzare lucidamente la situazione che si è creata: urge un contributo che non sia solo, e ipocritamente, “politically correct”, ma che abbia il pregio di chiamar le cose col loro nome. In buona sostanza, non si tratta di legittimare il manrovescio e il manganello gratuito, ma di costringere i genitori ai loro obblighi parentali: crescere e educare un figlio è troppo importante, per poterlo delegare alla scuola e, più in generale, allo Stato.
Per una volta, dunque, scuola e polizia hanno qualcosa in comune: l’impotenza di fronte a comportamenti che solo la malafede può addossare alla società. Frattanto lo Stato banalizza l’alcol, riducendo l’età in cui lo si può assaporare indisturbati al bar o – più prosaicamente – al pub.

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