Ma diamoci pure del tu

Sono almeno trent’anni che la scuola si sente imputare la crescente mancanza di rispetto da parte di bambini e giovani nei confronti degli adulti in generale e dell’autorità in particolare: tutta colpa, secondo gli accusatori, di quell’insulsa moda dei maestri di lasciarsi dare del tu dai propri allievi, che non imparano così la differenza che passa tra un marmocchio e un adulto, tra un utente della strada e un gendarme, tra un governato e un governante. Sinceramente non ho mai creduto che il rispetto debba necessariamente passare attraverso l’ipocrisia formale, soprattutto all’asilo o nella scuola elementare, che si manifestano come micro-società assai vicine al modello organizzativo della famiglia, soprattutto grazie alla vicinanza regolare e continuata del maestro coi suoi allievi.
Parallelamente sostengo da molto tempo che, sul piano educativo, la scuola non è più l’unica istituzione che riesce a lasciare delle indelebili tracce sui comportamenti – anche i più minuti – dei cittadini. La faccenda mi è tornata in mente venerdì scorso, quando ho sentito il presidente del nostro Governo, durante la conferenza stampa in margine alla parziale defenestrazione della Ministra Pesenti, chiamare semplicemente Patrizia la direttrice del DSS, poche ore dopo averla impoverita di gran parte delle sue pubbliche responsabilità. Al di là delle decisioni governative in sé, si è trattato di una novità anche sul piano formale: mi ha fatto una certa impressione sentir dire che Patrizia ha detto e Patrizia non ha fatto. Sembrava il resoconto di una scampagnata. Non credo che questa confidenzialità ostentata sia il frutto dell’educazione che il Presidente del Governo ha ricevuto ai tempi della sua scuola elementare. Propendo a credere che si tratti di una scelta comunicativa per farci sentire più vicini al Consiglio di Stato e ai suoi membri.
Effettivamente, a ben pensarci, ci siamo abituati un po’ tutti a sentir parlare del Gigio e del Lele come se si trattasse di nostri compagni di merende, cosicché quel confabulare amichevole del Marchino durante la conferenza stampa faceva sembrare tutto un po’ più comprensibile e giocoso. D’altra parte, avete visto come i media hanno trattato la questione? Uno – pensando alle continue litigate tra la Marina e la Patrizia – ha strillato: “Bambole, basta giocare!”. Un altro ha sentenziato che Patrizia si è beccata un castigo perché non aveva fatto i compiti. Insomma, mai come in questo frangente un fatto tanto grave per la democrazia consociativa è stato evocato con un gergo ispirato al gioco e alla scuola. E pensare che per riferire di una banale partita dei campionati minori, si ricorre a formulazioni più conformi alle sedute del consiglio di sicurezza dell’ONU che al campetto fuori porta.
Oddio, nulla di così riprovevole. Però io posso anche essere in confidenza con un qualsiasi Consigliere di Stato, ma se ne parlo in televisione o lo cito in un pubblico consesso mi guardo bene dall’indicarlo col solo nome di battesimo o, peggio, attraverso il soprannome: perché un conto è la persona, un altro la sua funzione. La scelta del consigliere di stato Borradori, invece, ha veicolato l’idea di una gestione un po’ puerile dei rapporti all’interno del governo, dove tutto sembrerebbe giocarsi sul filo dei rapporti interpersonali: come in una partita a cicche, la Patrizia non ha rispettato le nostre regole, per cui ora non la vogliamo più.
Altro che educazione civica.

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