Teste ben piene e teste ben fatte

Qualcuno che si firma “Una mamma di Massagno” è intervenuto sabato scorso su questo giornale per “…portare alla ribalta un’altra problematica sull’argomento «scuola», quella relativa ai programmi per la scuola elementare”. Lo so che bisogna sempre diffidare di chi si firma “Una mamma”, sia essa di Vaglio o – come in questo caso – di Massagno, perché non si sa mai bene chi scrive e per quale motivo; ma questa volta le domande poste sono tutt’altro che peregrine. La “mamma” in questione, che dice d’aver frequentato le scuole in Italia e di essere sobbalzata sulla sedia quando ha letto i nostri programmi della scuola elementare, si chiede: “Perché in Ticino un bambino di terza elementare deve affrontare un programma di storia che ha come unico oggetto il proprio nucleo familiare, più tardi la parentela più allargata? Che posto è relegato alla conoscenza dell’evoluzione dell’uomo dalla preistoria alle civiltà classiche, dalle invasioni barbariche in Europa al Medioevo, e via dicendo?”.
Brava “mamma”, belle domande. Qualche normale cittadino, leggendo la lettera, avrà trovato naturale prendersela con pedagoghi e psicologi, giacché è purtroppo vero che programmi siffatti sono tipici prodotti di chi mette al centro dei propri assilli il “come” insegnare, senza troppo preoccuparsi dei contenuti stessi dell’insegnamento. Nel nostro caso la faccenda ha però contorni un pochino diversi. Diciamo, per cominciare, che questi programmi sono nati, all’anagrafe, nel 1984. Per dei programmi scolastici lo scadere dei diciott’anni dovrebbe coincidere col meritato pensionamento, piuttosto che con la maggiore età. “Questi” programmi sono invece anche più vecchi e, per una volta, il padre è uno solo – il Consiglio di Stato – mentre le madri sono molteplici e di svariate età. Ricordate il vecchio ’68? Beh, questi programmi sono figli suoi, nati purtroppo in provetta da un intruglio di ovuli dalle più incredibili origini, quasi a dimostrare che è sempre sbagliato buttar via il bambino con l’acqua sporca.
All’inizio degli anni ’70 era saggio e doveroso prendersela con l’eccessivo e sterile nozionismo che caratterizzava la scuola. Erano gli anni in cui si proclamava che “imparare a imparare” e “imparare a essere” erano processi assai più importanti che declamare il nome dei villaggi della Valcolla o recitare a memoria l’elenco dei cantoni svizzeri con relativo capoluogo. Che occorresse cambiare quella scuola non l’ho mai dubitato; ma più che lottare contro il più torvo nozionismo, il cui unico scopo sembrava essere quello di selezionare le aristocrazie future, era necessario agire per una scuola più giusta e democratica, dove anche i figli dei meno accreditati potessero rivelarsi i migliori, se solo si fosse anteposta la sottigliezza di mente alle capacità mnemoniche.
Invece cos’è successo? Che i tempi sono andati per le lunghe, e mentre gli anni passavano le commissioni e i gruppi di lavoro erano ancora concentrati sugli slogan ormai d’antan. Tanto per dirne una: mentre il Consiglio di Stato approvava i “nuovi” programmi, la Apple aggrediva il mercato con Macintosh, di cui i “nuovi” programmi manco immaginavano l’esistenza. Nel frattempo sono passati quasi quarant’anni. La scuola si è fatta anche più selettiva di prima, naturalmente con altri crivelli, e a rimetterci son rimasti gli stessi poveri diavoli d’un tempo. Ci sono cose che a scuola si chiamano nozioni, ma se non le sai sei un ignorante. Il problema è che non si può “imparare a imparare” e “imparare a essere” affondando le proprie radici nel vuoto assoluto. Da qui a dire che nella scuola elementare ci si debba occupare “…dell’evoluzione dell’uomo dalla preistoria alle civiltà classiche, dalle invasioni barbariche in Europa al Medioevo…” ce ne corre: non se la prenda la “mamma” in questione, ma le sue imbeccate decisamente rétro sembrano voler rivalutare le “teste ben piene”, che noi vorremmo sostituire con delle “teste ben fatte”.

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