L’elogio del manrovescio

Stanno arrivando tempi sempre più grami per le adolescenti che amano smutandarsi e presentarsi a scuola senza rendersi conto che i diversi regolamenti d’istituto pretendono un abbigliamento confacente. Ultimo in ordine di tempo, l’intervento della direzione della scuola media di Gordola, di cui riferisce La Regione di sabato scorso: “Mi sembra il minimo pretendere un abbigliamento consono al luogo in cui ci si trova” dice il direttore. Che aggiunge: “Sarebbe importante appunto trasmettere agli allievi l’importanza dell’essere interiore, ben più di quella dell’apparenza, del mostrare capi firmati o succinti, e questo solo per apparire, imitare, conformandosi a modelli spettacolari”. In principio, come si ricorderà, c’era stato un analogo provvedimento a Lugano-Besso, nella primavera del 2003, con un richiamo alla decenza da parte del direttore di quella sede, che se l’era presa pure lui coi pantaloni a vita calante e le stringhe del tanga che fuoriescono in bella vista. Poi più niente – Don Gianfranco da Chiasso a parte – fino all’altro dì.
Non mi si fraintenda, ma sono d’accordo solo in parte con queste crociate un tantino pruriginose. Tra tutti gli atteggiamenti da sempre un po’ grulli dei teenager, questo mi sembra tra i più innocui; e, d’altro canto, la perdita di quel certo formalismo nell’abbigliarsi per andare a scuola s’è perso ormai da qualche decennio, senza che mai nessuno si sia sentito in dovere di prendersela – che so? – con i jeans o le magliette attillate, con le kefiyah o con chi tende ad avere un rapporto assai disinvolto con l’acqua e il sapone. Anzi, a ben vedere la storia recente ci dice che talune divise degli adolescenti sono poi diventate le posture correnti dei loro insegnanti di qualche anno dopo. Personalmente non credo che le nostre ragazzine allestiscano questi spettacolini audaci “contro” chissà cosa o per affermare chissà quale libertà. Molto più semplicemente imitano i loro miti dello show businnes, schiere di “cattive” ragazze che costruiscono popolarità e carriere, sempre più brevi ed effimere, sull’ammiccare di un ciuffo di peli in mancanza di doti artistiche di maggior spessore.
In ogni modo, ben altri sono gli atteggiamenti che imporrebbero gli interventi determinati e intransigenti delle direzioni scolastiche. Penso a piaghe sempre più diffuse in larghe fasce di giovani, di cui purtroppo i mezzi di comunicazione di massa devono occuparsi con sempre maggiore intensità. E non concordo con Dario Robbiani, che, sul Caffè di domenica scorsa, mette tutto in un unico calderone e scrive: “La sbronza, la violenza, fare a cazzotti, rompere i cassonetti, imbrattare le vetrine e i vagoni, la sfacciataggine, la malcreanza, la tenuta provocatoria, con la vita bassa e l’esposizione dell’ombelico e del perizoma, sono segnali lanciati dai giovani spaesati, che si sentono emarginati, privi di valori e non riescono ad immaginare il proprio futuro”. No, caro Robbiani, l’esposizione dell’ombelico e del perizoma han poco a che fare col male di vivere e molto, invece, con la necessità di potersi riconoscere in un gruppo, di costruire un’identità e un senso di appartenenza: purtroppo, in mancanza di appigli più veri, è facile aggrapparsi ai chitarrosi della TV o alle stelle dello sport.
Per Robbiani una soluzione c’è: “Il ceffone non è un atto di violenza, come pretendono quelli che attribuiscono la colpa alla società, vogliono evitare traumi e paure ai bambini, affermano che le mani si alzano solo per accarezzare. È ormai appurato che non la severità ma l’eccesso di permissivismo crea degli spostati. Una sberla, motivata e spiegata, è più efficace d’un predicozzo, di una bocciatura o di uno spot televisivo”. Sarà. Però le cronache riferiscono tristemente che di violenza tra le quattro mura domestiche ce ne sia già a bizzeffe, sicuramente troppa. Forse è proprio lì che s’accumula quell’odio che poi esplode nei fine settimana, mettendo a soqquadro intere zone dei nostri centri. Più che di manrovesci e sganassoni si sente un impellente bisogno di Educazione e di Cultura: forse è in questi ambiti che la Scuola potrebbe ricominciare ad applicare quel rigore che, invece, è più facile mettere in atto davanti a un ombelico malizioso.

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