Stefano Franscini c’è, ma non ditelo troppo in giro…

«Ci è sembrato giusto e opportuno, in occasione del 150° della sua morte, far conoscere agli allievi delle nostre scuole aspetti della vita e dell’opera di Stefano Franscini, un uomo al quale il nostro Paese deve davvero molto». È con queste parole che i curatori del volume «Franscini e la scuola» – Domenico Bonini, Sandro Bottani, Franco Cavani, Amleto Pedroli, Roberto Ritter e Franco Zambelloni – si rivolgono ai giovani lettori ai quali l’antologia è destinata. Ma chi sono questi giovani lettori? Si tratta di quegli allievi che stanno attualmente frequentando la quinta elementare, alcuni dei quali avranno forse già portato a casa il libretto, mentre altri lo riceveranno – si stima – da qui alla fine dell’anno scolastico.
La raccolta di scritti del «padre della popolare educazione» ticinese, fa parte di un più ampio progetto editoriale voluto dal DECS a centocinquant’anni dalla sua morte. Nel 2007 vedranno la luce un secondo volume, dedicato al pubblico adulto, nonché un DVD che si configurerà come un’esaustiva raccolta documentaria sulla figura del grande statista leventinese. E poi ancora una mostra storica a Villa Ciani a Lugano e all’Archivio di Stato di Bellinzona e la pubblicazione della nuova edizione dell’epistolario.
Per questo primo atto dei festeggiamenti il dipartimento ha optato per un forse eccessivo basso profilo. Dopo la presentazione in pompa magna durante una conferenza stampa d’inizio ottobre, le copie per docenti e allievi di quinta elementare sono giunte nei diversi istituti scolastici senza neanche uno straccio di nota d’accompagnamento, col rischio che non tutti i destinatari sapranno capitalizzarne il senso. Eppure il volumetto è ben fatto e offre all’insegnante accorto molteplici spunti per affrontare in classe tematiche dall’elevato contenuto educativo. Le tre parti che lo compongono – dapprima un esaustivo percorso biografico, poi la presentazione ragionata di alcuni brani tratti dalle «Prime letture per i fanciulli e le fanciulle delle scuole elementari» (un testo del 1831), infine ampi stralci dall’«Aritmetica elementare con copiose applicazioni alle monete e misure del Cantone Ticino e di altri paesi» (del 1830) – son lì pronte per aiutare gli allievi a immergersi nella storia del nostro cantone, per conoscere da vicino un modo di vivere e di concepire la società che contribuirebbe a forgiare l’identità e il senso di appartenenza a questo Paese.
«Franscini e la scuola» avrebbe potuto rappresentare un utile supporto sul quale fondare un itinerario didattico di studio dell’ambiente della durata d’un intero anno scolastico, tali e tanti sono gli spunti che sonnecchiano tra il testo, i documenti e le illustrazioni, pronti a offrire la propria euforica vitalità pedagogica. Anche solo partendo dal chiedersi chi si cela dietro quel nome che ricorre in innumerevoli piazze, vie, corsi e viali ticinesi – da Lugano a Bellinzona, da Locarno a Mendrisio, e naturalmente a Faido – questo bel libretto avrebbe fornito splendidi spunti per costruire competenze e conoscenze. Ma per puntare a un simile traguardo erano necessarie almeno due condizioni preliminari: saperlo già in primavera e conoscere, almeno a grandi linee, i contenuti dell’opera, perché un piano annuale non lo si improvvisa durante le vacanze dei Morti.
Invece così non è stato. Certo, ci saranno insegnanti che sapranno trovare il modo per recuperare il terreno perso da altri; ma si può anche supporre che qualche allievo avrà già portato a casa l’insignificante regalo: perché «Franscini e la scuola» non è un testo che ragazze e ragazzi di dieci anni possono leggere e capire da soli, senza la preziosa mediazione dell’insegnante. Si è scelta la via più scorrevole, quella della pubblicazione attenta all’agiografia ma non all’educazione e alla crescita. Peccato: un’occasione fatalmente persa.

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