Il progetto di educare teste ben fatte più che teste ben piene

In margine al triste episodio che ha funestato il recente carnevale locarnese, i commenti si sprecano. Quel ch’è successo lascia ovviamente sgomenti: per il fatto in sé, in tutta la sua tragicità e incomprensibilità; ma anche per l’ondata di rabbia incontrollata e di montante razzismo che serpeggia nella popolazione – e non solo in quella adulta. È impressionante andare a frugare in internet, nei più noti portali di discussione della Svizzera italiana, dove molti giovani lasciano correre i loro sentimenti sotto l’apparente effetto di una pulsione violenta, dando vita a un linciaggio che deve preoccupare. C’è insomma da sperare che non si passi dalle parole ai fatti, soprattutto perché la chiara tendenza a far di ogni erba un fascio, accomunando i tre delinquenti ai loro connazionali, è già sotto gli occhi di tutti. È inquietante osservare come alla pacatezza e alla ragionevolezza delle autorità e della maggior parte dei mass media abbia fatto da contraltare un odio brutale, irrazionale, astioso, spesso imbevuto di frustrazione.
Sullo sfondo di questo evento legittimamente pervaso di emozionalità, la società civile si interroga su un mondo giovanile che diventa vieppiù incomprensibile e insofferente. Il passato recente, di questo cantone e dell’intero mondo occidentale, è costellato di segnali, di attitudini allo spregio delle regole della convivenza civile, di piccoli e grandi drammi: dalle colossali bevute alla droga, dalle risse agli stupri ai vandalismi – oltre a quella patina di infantilismo e di banalizzazione dei problemi che copre un po’ tutti. È stucchevole dire che si tratta di un problema educativo, di un’educazione che oggi, come mai era successo, non ha più obiettivi condivisi e strategie formative omogenee. Ha scritto Claudio Mésoniat sul Giornale del Popolo: «C’è un problema educativo gravissimo di cui le nostre generazioni adulte portano la responsabilità. E senza “grandi ideali” non si educa. Su questo, ognuno come può, per quel che può, è chiamato a fare i conti. Non si tratta di imporre niente a nessuno, ma di mostrare con la vita la grandezza e la bellezza di quel che abbiamo ereditato. E il cristianesimo ne è il tesoro più profondo».
Ma quali sono i grandi ideali promossi oggi dall’intero sistema formativo? Quelli della pubblicità, che inneggiano all’edonismo sfrenato e al consumo immediato e incessante? Quelli di un giornalismo pronto a sbattere il mostro in prima pagina a ogni piè sospinto? Quelli di un mondo del lavoro che accanto ai mega salari di pochi manager costringe un gran numero di giovani coppie al doppio lavoro per poter arrivare in qualche modo a fine mese? Quelli di un sistema di socialità che per ovviare ai compiti educativi di queste famiglie deve creare asili nido e refezioni scolastiche? Quelli di un mondo sportivo sempre più competitivo, danaroso e a volte drogato? Quelli dei tifosi che se le danno di santa ragione, prima, durante e dopo la partita?
Certo, senza grandi ideali non si educa. La scuola, insomma, deve tornare a essere quel luogo privilegiato e protetto ove i cittadini di domani possano crescere in un contesto di valori elevati, che sono poi le aspirazioni di una moderna democrazia: libertà, uguaglianza e solidarietà. Mirare a questi obiettivi significa rimboccarsi le maniche, poiché i grandi ideali – per non restare tali – necessitano di costante impegno e dell’indispensabile tensione etica affinché tutti, ma proprio tutti, possano acquisire le competenze indispensabili: linguistiche, culturali e di pensiero. In altre parole, per fronteggiare le incertezze e i drammi di oggi – incertezze e drammi che non concernono solo la gioventù – occorre abbandonare in fretta le spinte tecnocratiche contemporanee e uscire dalla logica del supermercato e della giustapposizione di mille interessi individuali. La scuola deve invece tornare a privilegiare l’insegnamento e l’educazione, con tenacia, rigore e fiducia: una scuola efficace e centrata sugli uomini prima che sui suoi contenuti, col progetto comune – per dirla con Edgar Morin – di educare teste ben fatte più che teste ben piene.

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