E così, dopo due anni di schermaglie, il Consiglio della SUPSI ha congedato la direttrice del suo Dipartimento della Formazione e dell’Apprendimento (DFA), a causa delle «tensioni createsi all’interno», che «hanno innescato una spirale negativa che ha progressivamente deteriorato il clima di lavoro». Non si può scordare che il passaggio dell’istituto magistrale dal DECS alla SUPSI era stato accelerato anche perché, soprattutto dall’interno dell’istituto, giungevano continue critiche alla direzione dell’ASP, tanto che la SUPSI aveva optato per una direzione teoricamente al di sopra (e al di fuori) delle parti, con tanto di direttrice alloglotta. Per guidare la Magistrale del Paesello nel processo di ulteriore terziarizzazione, si era quindi operata una scelta esterna al provincialismo nostrano. Com’è finita, almeno per ora, l’abbiamo letto sui giornali del 5 novembre. Ora che la frittata è cotta a puntino, c’è solo da sperare di essere giunti al fondo della voragine e che la risalita, indipendentemente da chi sostituirà Nicole Rege Colet, tenga conto per davvero dei bisogni di formazione degli insegnanti di questo Cantone, senza concentrare troppo le attenzioni sull’odierno capro espiatorio.
Alla fine degli anni ’80 la Magistrale era passata da seminariale – vi si accedeva dopo il ginnasio – a post-liceale. Una decina di anni dopo ci si era addentrati entusiasti nella stagione della «terziarizzazione», con l’inaugurazione dell’ASP. Infine, nel 2009, il Parlamento aveva consegnato l’ASP alla SUPSI, firmando una cambiale in bianco e cedendo pure il controllo sull’istituto, il cui compito principale resta ancora quello della formazione e dell’abilitazione dei docenti delle scuole di questo cantone, dall’asilo al medio-superiore. (A dire il vero neanche prima il DECS si era curato troppo delle scelte strategiche in materia di formazione dei suoi insegnanti: ma sorvoliamo). «Terziarizzazione» è stata la parola chiave elevata a ruolo di manifesto; mai, però, che si sia discusso sul serio dei requisiti e delle competenze ineluttabili per insegnare nella scuola dell’infanzia, elementare, media e via di seguito. «Terziarizzazione», che comporta l’aumento degli anni di studio in età adulta, imparando pure a fare «Ricerca», è una parola fatata, che sembra risolvere di per sé i problemi della scuola, soprattutto di quella dell’obbligo. A ogni metamorfosi, tuttavia, i curricoli formativi dei futuri docenti sono nati dentro l’istituto magistrale: si vede che chi era lì sapeva le cose.
Da troppi anni l’istituto locarnese influenza la scuola ticinese con innovazioni pedagogiche e didattiche che nessuno le aveva richiesto e che non erano state discusse e condivise con la scuola reale, quella che giorno dopo giorno cerca di sviluppare i programmi di studio dei vari ordini: con quali tangibili miglioramenti è ancor tutto da scoprire, ricerca o non ricerca. Eppure anche in questo momento di grande crisi il co-presidente del collegio dei formatori ha confidato a La Regione «l’auspicio e la rivendicazione dei colleghi nel chiedere che in questa fase di transizione si creino le condizioni affinché la voce e le idee di chi è quotidianamente sul campo (insegnanti e studenti) possa avere uno sbocco concreto e importante nell’elaborazione condivisa degli scenari futuri del DFA». Ma quale campo? E condivisa da chi? Dopo tutti i pasticci e le discussioni animose, sarebbe ora che la Magistrale assumesse la giusta dose di umiltà e cominciasse seriamente a confrontarsi con le scuole comunali, medie e medie-superiori: nessuno, oggi, ha in saccoccia le giuste soluzioni a problemi di educazione e formazione sempre più complessi. Non le hanno né i dottori del DFA, né gli operatori direttamente coinvolti nelle sedi e nelle aule scolastiche. Continuare ognuno per la sua strada sarebbe però, come minimo, da irresponsabili: per parafrasare un noto adagio, la formazione degli insegnanti è troppo importante, per lasciarla completamente nelle mani del DFA.