I compiti a casa, una tradizione che resiste al passare del tempo

I compiti a casa fanno parte del patrimonio genetico della scuola. Quando frequentavo la scuola elementare non mancavano mai. Il sabato mattina c’era il rito della poesia, da mandare a memoria entro il lunedì. Il maestro la leggeva e la dettava. Poi la si rileggeva un po’ di volte. Avevo la fortuna di poterla quasi sempre recitare entro mezzogiorno, a differenza di altri compagni, che si rovinavano la domenica sera e la guastavano all’intera famiglia. Forse è per quella facilità infantile che oggi non ne ricordo neanche una. Va da sé che nessuno si sognava di protestare. Ho passato anch’io qualche domenica sera a bisticciare con la memoria. Finché c’era di mezzo la cavallina storna, che portava colui che non ritorna, tutto sommato andava via liscia. Ma, ogni tanto, il maestro si dava alle variazioni. Così l’addio monti sorgenti dall’acque rovinava irrimediabilmente il bel pomeriggio trascorso dai nonni, lassù in Valmaggia, tra galline e mucche e vigneti, a seconda della stagione. Altri tempi, quando la scuola andava a braccetto con la società, dettando i ritmi quotidiani con reciproco rispetto.
Qualche settimana fa mi ha scritto una mamma, tra lo stupito e l’infastidito: «La maestra di mio figlio dice di aver ricevuto una direttiva, secondo la quale non si possono più dare compiti, nemmeno di recupero, neanche nelle vacanze o nei fine‐settimana. Mio figlio era contentissimo, ovviamente io molto meno!». È strano, anche se le cose non stanno proprio così. Da più di trent’anni c’è una norma sui compiti a domicilio nella scuola elementare, eppure quasi nessun genitore la conosce. Un gran numero di maestri non la condivide e continua imperterrito ad assegnare compiti ai propri allievi durante la settimana, nei weekend e durante le vacanze, così, tanto per darli. Sanno, questi insegnanti, che di solito i genitori sono d’accordo, in barba alla direttiva dipartimentale.
Le informazioni sui compiti a domicilio, stese dagli ispettori e che dovrebbero essere trasmesse ai genitori, sono un documento interessante, perché spiegano a che servono i compiti e come devono essere, e cercano di chiarire qual è il ruolo dei genitori. Un solo paragrafo di quel documento tenta, a dire il vero in modo maldestro, di ergersi a regola. Dice: «Durante le vacanze e i fine-settimana non vengono assegnati compiti a domicilio». E bravi i nostri ispettori. Se non che aggiungono: «Salvo accordi particolari con le famiglie nell’intento di aiutare l’allievo». Bell’aiuto! Uno, poveraccio, fatica tutta la settimana eppoi deve portarsi a casa il lavoro straordinario. Così si rischiano di nuovo le scenette della domenica sera, che quand’è ora di andare a letto dalla cartella saltan fuori i compiti.
È ovvio che talune conoscenze si realizzano solo coi cosiddetti compiti a domicilio, come studiare le caselline, preparare una lettura o «Disegnare nella scala 1:50 la pianta della camera». Ma, per favore!, smettiamola con quest’assurda e moraleggiante abitudine di dare i compiti a casa tanto per darli, una maniera sciocca per abituare i pargoli ad affrontare la scuola media, che è un’altra situazione intollerabile, anche perché non viviamo più nei “mitici” anni ’60: il mondo è un pochino cambiato. La scuola non può demandare alla famiglia i suoi doveri: li faccia lei, i compiti a casa.
Almeno, come ha scritto Umberto Eco, imparare a memoria la «Cavalla Storna» era una forma di assicurazione sull’Alzheimer.

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