Non accorciamo il liceo, ma cinquemila studenti son troppi

La sparata estiva del consigliere di stato Beltraminelli, che ha proposto di tagliare un anno di liceo per risparmiare un po’ di denari, ha generato diverse reazioni, ma pare che nessuno l’abbia presa troppo sul serio. Con l’ignoranza che si espande a macchia d’olio, non è proprio il caso di ridurre ai nostri giovani la possibilità di studiare. Se, però, ci si prende la briga di andare al di là della fanfaronata, perché di certo il direttore del DSS non è andato oltre i proverbiali tre calcoli della serva, qualche riflessione sulla scuola media superiore, e sul liceo in particolare, possiamo ben farcela. Poniamoci qualche domanda, a partire dal fatto che il liceo è nato come scuola di cultura generale destinato a chi è intenzionato a intraprendere studi universitari. In altri anni, grazie ai conti in banca di papà, chi poteva schivava la scuola maggiore, frequentava il ginnasio e finiva al liceo di Lugano o in qualche esclusivo istituto privato. Era l’era pre-democratizzazione degli studi.
Oggi il liceo è diventato una scuola multifunzionale, un coperchio buono per tante pentole, un po’ come quei coltellini svizzeri che comprano i turisti, affollati di aggeggi che non s’useranno mai. Oggi al liceo non s’iscrivono solo i giovani che hanno in testa le sale operatorie, le aule giudiziarie, i piani alti della finanza e dell’economia, i misteri della filologia, della cosmologia o della genetica. No, il liceo serve anche per fare il maestro, tanto per dire. Con tutto il rispetto dovuto a professioni dall’elevata richiesta etica e formativa, ma dal basso salario, non me la sento di sdoganare un liceo che, un colpo al cerchio e un altro alla botte, si è gonfiato come la famosa rana della favola di Fedro. Tant’è che tanti brontolano. Il vero spreco sono le centinaia di allievi che, anno dopo anno, vengono scartati in prima e in seconda.
Ho conservato un articolo di qualche anno fa: «Prima liceo da incubo per uno studente su quattro», titolava Ticinonline nel luglio del 2010. Eppure questi «uno su quattro» s’erano iscritti perché avevano i numeri convalidati dalla scuola media. Vien da dire che o la scuola media o il liceo (o tutt’e due) non sanno insegnare, oppure che valutano a casaccio. Malgrado questo sterminio istituzionale, che si ripete anno dopo anno, il numero di studenti non tende a diminuire. Si tenga però conto che il meccanismo che s’ingrana al termine della scuola media è perfido: circa la metà dei quindicenni – quindicenni! – è costretta a scegliere una formazione professionale, perché solo chi raggiunge i criteri per l’accesso automatico alle scuole medie superiori può concedersi il lusso di rinviare decisioni fondamentali, magari rinunciando a tanti sogni. Così non deve stupire che molti di loro entrino al liceo, magari solo perché non sanno ancora che pesci pigliare: ma vi sono forse altre alternative?
Qui sì, ci sono margini di risparmio, e non solo finanziario. Forse converrebbe ripensare da cima a fondo la scuola dell’obbligo: perché il Paese ha sempre più bisogno di cittadini cólti e critici. Forse servirebbe una scuola media che insegni con maggior rigore, prima di investire dispendiose e inutili risorse nella valutazione. Forse sarebbe utile una scuola di cultura accanto e al posto di un liceo di massa ormai ridotto a ruolo di filtro socio-economico. Perché cinquemila allievi che frequentano la scuola media superiore sono una democratizzazione falsa, che costa un sacco di soldi e crea frustrazioni evitabili.

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