Il 6 agosto di settant’anni fa la Germania nazista assassinò nel campo di sterminio di Treblinka, assieme ai ragazzi del suo orfanotrofio, il pedagogista, scrittore e medico polacco Janusz Korczak. Ha scritto Erri De Luca: «Passai per via Krochmalna, dove abitavano i Singer, e per via Sliska, dove c’era l’orfanotrofio diretto da Janus Kortzhak, che s’incamminò coi suoi centonovantadue bambini allineati verso i vagoni aperti della Umschlagplatz. Se riferiti a persone, i numeri vanno scritti per me in lettere. Le cifre vanno bene per ogni contabilità, tranne che per le vite umane. Per loro ci vogliono le lettere: centonovantadue bambini. Con quella schiera disciplinata e muta Kortzhak entrò nudo nei tre recinti concentrici del campo di Treblinka fino agli stanzoni dell’asfissia» (Il torto del soldato, 2012).
Janusz Korczak, nome d’arte di Henryk Goldszmit, figlio di un’agiata famiglia di origine ebrea ben integrata a Varsavia, non è una figura di primissimo piano nella storia delle idee pedagogiche. È abbastanza inusuale trovare il suo nome nei normali corsi di pedagogia previsti per i futuri docenti. Eppure il suo contributo etico e teorico alle scienze dell’educazione è tutt’altro che trascurabile. Fu un ribelle sin da piccolo. Poco più che trentenne, sopportando male la suddivisione in classi e il fatto di essere nato ricco, fondò uno dei primi orfanotrofi per bambini ebrei. Questo intenso progetto educativo lo accompagnò per tutta la vita, fin dentro il ghetto di Varsavia. Korczak era profondamente convinto del diritto all’esistenza e al rispetto del bambino in quanto tale, tanto che proprio a lui si deve il primo spunto all’idea dei «Diritti del bambino». Ha annotato Pierre Frackowiak, pedagogo francese, commentando Il diritto del bambino al rispetto, un testo del 1929: «La sua opera letteraria e pedagogica, la sua azione di precursore negli orfanotrofi di Varsavia tra le due guerre mondiali, la sua attività di insegnante e di formatore, la sua costante militanza sin dall’inizio del XX secolo sui giornali, alla radio, fin dentro l’inferno del ghetto, hanno fatto sì che fosse considerato come padre spirituale dei diritti del bambino, associando volentieri il suo nome a quelli di M. Deraismes, di cultura massonica, di F. Buisson, di cultura protestante, e di M. Montessori, di cultura cattolica». Ciononostante Korczak non fu per nulla un anticipatore di certo permissivismo che sarebbe nato nel dopoguerra, con epicentro gli Stati Uniti. Al contrario, era molto esigente. A lui si devono taluni dispositivi pedagogici di grande efficacia, vòlti a sospendere e mitigare i propri impulsi aggressivi, quale la buca delle lettere in cui infilare domande e rimostranze: un invito alla scrittura come atto cosciente per non soccombere agli istinti distruttivi, che pure appartengono alla natura umana.
All’apertura di un nuovo anno scolastico, credo che sia importante rivolgere la propria attenzione a figure come quella di Janusz Korczak, che ci rammentano che Educare non è un’azione che può essere banalizzata, né lasciata nelle mani dei mercati o dei moderni stregoni, che coi loro filtri miracolosi «guarirebbero» ogni piccola deviazione dai comportamenti voluti: perché i bambini non sono marchingegni da telecomandare a piacere, secondo la propria fretta insofferente; né, tanto meno, possono essere consegnati alle leggi dell’economia e della produttività, che sempre più chiedono selvagge e precoci selezioni. L’educazione è un percorso lungo, faticoso, senza scorciatoie, che richiede coerenza e scelte meditate. La scuola, insomma, deve riappropriarsi delle sue lentezze e delle sue essenzialità, nel totale rispetto dei bambini e dei giovani che la frequentano. Contro i sempre più frequenti appelli alla selezione precoce e all’imbottigliamento dei cervelli – le famose teste ben piene – è necessario tornare a una scuola che educhi e formi, prima di valutare per lo più a naso. Anche per questi numeri, insomma, ci vogliono le lettere.