Devo qualche plausibile chiarimento ai sette tenaci lettori di questa rubrica, con i quali non intrattengo la quindicinale chiacchierata virtuale da oltre un mese. Non ero in vacanza, ma le ultime settimane son scivolate via senza particolari sussulti, ad eccezione di un paio d’avvenimenti stuzzicanti, che mi avevano ispirato due pezzulli. In prima battuta, prendendo spunto dalle vicissitudini d’inizio marzo del FC Lugano, mi ero cimentato con il rapporto un po’ incestuoso che intercorre tra le gesta degli sportivi attivi e il cicaleccio quotidiano dei loro cantori; poi avevo tentato di inserirmi nel tormentone che sta pungolando i pruriti del basso Ticino, confrontato con le piccanti imprese di quell’ispettrice scolastica che, secondo il Dipartimento, avrebbe compiuto atti definiti sconvenienti, e anche un po’ indecenti, con un’altra persona adulta bendisposta, nientepopodimeno che in un locale dell’amministrazione pubblica. Insomma: avevo supposto – sicuramente a torto, ma non è detto… – che tali accadimenti potessero in qualche modo prestarsi per un discorso critico su quanto di pedagogico esiste fuori dall’aula.
Ho desistito. Anch’io ho i miei lettori preventivi, dei giudici di prima istanza che mi hanno convinto, con modi suadenti, a ruspare nel mio pollaio, nell’attesa che le acque si calmassero e mi consentissero d’andare a grufolare nei pantani altrui: si può immaginare la situazione, ed eccomi dunque alle prese con un tema più fedele alla dottrina.
Di questi tempi le famiglie degli allievi di II media sono confrontate con decisioni che avranno un peso determinante, e di solito senza possibilità d’appello, sul futuro non solo scolastico dei propri figli. Di che si tratta? Come molti sapranno, la scuola media – che è scuola dell’obbligo, nel senso che tutti la frequentano coattivamente – è divisa in un primo biennio più o meno uguale per tutti, ed un secondo che statuisce in maniera di solito irreversibile chi potrà votarsi agli studi superiori e chi, invece, dovrà consacrarsi alle arti e ai mestieri. Ecco quindi che, giunti nel bel mezzo del cammin mediano, le famiglie devono disporre l’iscrizione ai corsi di base o ai corsi attitudinali di francese, tedesco e matematica: coi secondi – e alla precisa condizione di ottenere buone note – fra due anni si avrà l’accesso automatico alla scuola media superiore, autostrada per l’università; mentre coi primi ci si ritrova su una strada di campagna, dove, com’è risaputo, non si può smanettare a piacimento. Naturalmente i genitori non hanno molto da scegliere, perché a) il consiglio di classe offre disinteressatamente i propri preziosi consigli e b) per accedere ai corsi attitudinali bisogna ottenere almeno 4.5 nelle discipline scelte: si può quindi intuire cosa può capitare a quel genitore un po’ grullo, che iscrive il pargolo ai corsi attitudinali contro il parere dei chierici.
Il tutto, quindi, si delinea come un’enorme impostura, che fa a botte non solo con le capacità intellettive dei padri e delle madri, ma anche con i proclami che accompagnano la scuola media sin dalla sua nascita. Certo, si può sempre affermare – come molti ritengono vero e giusto – che è difficile estrarre oro da una zucca, soprattutto se vuota; e che se un dodicenne non è in grado di penetrare – che so? – i misteri dell’algebra o le declinazioni teutoniche, è inutile che s’illuda: per intanto seguitiamo ad aver bisogno anche di umili artigiani.
Nella scuola media vi è poi un terzo tronco, che potremmo definire super-attitudinale, destinato a quei quattro gatti che durante il primo biennio hanno vissuto sugli allori, in virtù di qualche capacità innata, di un pizzico d’astuzia e di una famiglia attenta allo svolgimento dei compiti a casa: giunti a ’sto punto a suon di medie imponenti, gli si suggerisce di iscriversi al corso di latino, che in III media è facoltativo e si svolge sull’arco di cinque lezioni settimanali, che fanno economizzare un’ora di italiano, una di francese, una di tedesco e una di… ginnastica o di disegno. Quale logica si celi dietro questa politica da ragioniere è difficile capirlo. L’unica cosa certa è che la scuola media diverrà scuola eccezionale (e, quindi, non più mezzana) il giorno in cui si sarà capito che la vera conquista della scuola pubblica e obbligatoria sarà, metaforicamente, il latino alla portata di tutti, col suo corollario di logica e storia e diritto e scienze umane: un reale zoccolo duro su cui costruire quell’educazione alla cittadinanza con cui tutti i dotti si riempiono la bocca, ma che solitamente finisce per fracassarsi sulla stucchevole e un po’ rancida ora di civica. Verrà il tempo in cui qualcuno dovrà pure insorgere contro questo stillicidio sociale e culturale consumato dallo Stato, che pretende di darsi un futuro sulla pelle dei dodicenni: a ogni buon conto per ora scarseggiano gli insegnanti di latino.