Diciamocelo: hanno fatto bene. A scioperare, voglio dire. Mercoledì scorso hanno fatto una manifestazione che Nostra Signora di Comano ha definito storica: era dai tempi che Berta filava – o che Ho Chi Minh teneva banco sulle prime pagine dei giornali – che non si vedeva una cosa simile. Occorre riconoscere che tutto sommato i nostri insegnanti hanno mostrato una certa dignità e un adeguato senso del contegno: basti pensare che nella scuola dell’obbligo lo sciopero è stato poco più che un frammento e all’asilo c’è stato nientepopodimeno che uno sciopero immaginario: tanto di cappello ai nostri insegnanti, che hanno manifestato con il giusto impeto, senza peraltro eludere le proprie responsabilità istituzionali.
Dopo il 18 febbraio – inutile specificare l’anno – scioperare era quasi inevitabile: non tanto per quell’ora in più ai docenti cantonali, che è un insulto per chi interpreta fino in fondo il proprio ruolo, mentre altri si nascondono abilmente dietro i garantismi giuridici, quanto piuttosto per quell’ennesima potatura improduttiva ai danni delle finanze dei comuni, già più volte al centro delle taccagne mene dello Stato. Se pensiamo che i Municipi e i Consigli comunali han poco o punto da dire sulle loro scuole e versano comunque allo Stato fior di soldoni per la gestione della scuola media, vien da dire che dal 18 febbraio a oggi il loro percorso è stato tutto in salita.
Ma lo sciopero del 12 novembre ha avuto altre peculiarità che meritano un po’ d’attenzione. Per esempio si è trattato di una serrata ossequiata da più parti. Nei giorni scorsi, molti hanno creduto di scovare delle analogie con le tante e multiformi manifestazioni di piazza dell’ormai lontano ’68. Niente di più inesatto. Tanto per cominciare gli studenti che 35 anni fa intendevano sfilare contro la scuola (dei padroni e dei borghesi, ancora pochi mesi…) lo facevano mettendoci del loro: gran parte del loro entourage familiare non avrebbe certo consacrato il figlio capellone e sovversivo. Invece abbiamo visto alla TV schiere di mini-contestatori accompagnati dalla mamma. Insomma, dal punto di vista schiettamente educativo una protesta contro il potere costituito ha senso soprattutto se del potere non fanno parte solo Gendotti e Masoni, ma anche mio padre e mia madre, senza scordare il prete e il poliziotto.
Invece no: questo è stato uno sciopero con la rete di protezione, stesa un po’ dallo stesso DECS – che nei giorni precedenti ha inondato il Paese di circolari dove si approvava il casino, ma con juicio… – e un altro po’ da madri e padri che, a differenza dei loro coetanei francesi o italiani, rimpiangono ancor oggi di aver partecipato a un ’68 un po’ alla buona, senza molotov né furiosi scontri con la polizia. Dov’era, insomma, la vera sovversione? Quando mai la contestazione ha bisogno del beneplacito di mamma e papà?
Certo, altro discorso è quello degli studenti un po’ più grandicelli e in odore di maggiore età: forse un qualcuno di loro, vedendosi in tele, si è sentito un po’ Rudi Dutschke e un po’ Daniel Cohn-Bendit: ma quest’ultimi cannoneggiavano i loro insegnanti e il mondo adulto a tutto campo, mentre i Mario Capanna nostrani non hanno esitato a ergersi a strenui difensori dei propri insegnanti. E questa è la grande incongruenza, soprattutto dopo che negli ultimi mesi diverse assemblee studentesche avevano censurato aspramente la cieca selezione scolastica e l’assenza pressoché totale di una vera Cultura Umanistica: ciò che non dipende né dalla ginnastica correttiva, né dai tagli alla spesa pubblica.