«Giunta a metà del tempo massimo per la raccolta delle sottoscrizioni, l’iniziativa popolare “Aiutiamo le scuole comunali. Per il futuro dei nostri ragazzi” ha superato le 3’500 firme»: lo riferisce La Regione del 3 ottobre. Ma dov’è la notizia? Non può meravigliare che la raccolta di firme per «aiutare le scuole comunali» prosegua liscia come l’olio. Il segreto della riuscita sta nell’ovvietà delle proposte. E già oggi si può supporre che alla fine il parlamento, dopo qualche scaramuccia di facciata e le scontate sparate delle sue frange più populiste, approverà gran parte di quelle idee, tutt’al più con taluni sacrifici/rinunce imposti dalle finanze sempre sinistrate. Sono ormai anni che i principali temi che costituiscono il corpo dell’iniziativa sono evocati quali condizioni irrinunciabili per far funzionare bene e in maniera efficace le scuole comunali. La riuscita dell’iniziativa, poi, sarà agevolata dalla grande diversità degli oggetti indicati, che comprendono un po’ di tutto e un po’ di più, tanto da ricordarmi una votazione federale di tanti anni fa: avevo detto di sì al casco obbligatorio per i ciclomotoristi e mi ero ritrovato legato come un salame al sedile della mia auto. Per dire che, in pratica, ogni persona che ha a che fare, direttamente o indirettamente, con questo settore scolastico troverà certamente almeno un argomento da sostenere con la propria firma.
Quanto alla convinzione che le nuove norme miglioreranno notevolmente le scuole comunali – sono parole di chi ha lanciato l’iniziativa, avverbio compreso – ho forti dubbi, al di là dell’apprezzabile tentativo di suggerire alcuni accorgimenti, volti a un’applicazione differenziata e conforme alle necessità specifiche di alcune proposte. Intanto l’iniziativa prospetta riforme direttamente legate alla scuola e ai suoi tradizionali scopi, accanto a numerosi cambiamenti che hanno un sapore più sociale. Prendiamo il vetusto argomento del numero di allievi per classe, che l’iniziativa propone di ridurre energicamente, senza tanti se e ma. Nessuno è mai riuscito a stabilire quale sia l’equo numero di allievi da affidare a un maestro. Tutt’al più si possono sparare delle cifre a naso. Ma l’equità numerica di una classe dipende soprattutto dalle caratteristiche individuali di ogni allievo e dalla natura degli obiettivi che si perseguono. Definire un numero tot di allievi per ogni classe da Airolo a Chiasso a prescindere dalle differenze che sussistono da una sede scolastica all’altra – e posso assicurare che tali diversità possono essere molto marcate anche a pochi chilometri di distanza – è un po’ come decidere che tutti dobbiamo pagare le stesse imposte: cioè un’ingiustizia.
È innegabile che l’iniziativa «Per il futuro dei nostri ragazzi» ha tanti pregi, tra cui quello di aprire (forse) un dibattito su questa prima tappa della scuola dell’obbligo. Ma i problemi posti oggi dall’educazione non possono essere risolti col pensiero magico, con i tanti «Sarebbe sufficiente che…» di cui noi tutti siamo depositari. Resto convinto che le proposte di Raoul Ghisletta e cofirmatari riceveranno un consenso molto ampio. Alcune cose miglioreranno; altre resteranno al palo e così, prima o poi, lanceremo altre iniziative, in attesa che ci si confronti seriamente su quelle che dovrebbero essere le reali e realistiche finalità della scuola in un’epoca storica così confusa e squilibrata, che vede bambini, ragazzi e giovani tramutati in oggetti economici di grande rilevanza, con tutte le perverse conseguenze che ne derivano. Ha scritto di recente il pedagogista francese Philippe Meirieu: «Alla domanda: “Quale mondo lasceremo ai nostri figli?” – quesito che resta attuale come mai – è oggi urgente aggiungerne un’altra: “Che figli lasceremo al mondo?”». Persiste in me una vivace inquietudine: che questa scuola, dopo il massiccio e costoso maquillage, continuerà a premiare chi già è favorito – mi riferisco sia agli allievi che ai singoli istituti comunali – mentre i soliti noti continueranno a pagare lo scotto di un sistema ripiegato su se stesso e sui problemi del presente. Forse, invece, servono grandi visioni per il futuro.