La politica scolastica ticinese degli ultimi anni è stata caratterizzata da diverse ondate, non necessariamente interconnesse, non per forza sostanziali e non certo al cuore degli obiettivi autentici che la tradizione affida come mandato fondatore alla scuola in generale, e alla scuola obbligatoria in particolare. È pur vero che il Cantone ha concentrato nel recente passato risorse finanziarie e concettuali sulla scuola di livello terziario – USI, SUPSI e ASP. Ma è ugualmente vero che, frattanto, nelle retrovie si sono combattute piccole scaramucce tutto sommato marginali, che hanno creato confusione da una parte, hanno disorientato molti operatori della scuola – anzitutto gli insegnanti – e hanno finito col lasciare andare alla deriva alcuni imprescindibili tasselli che caratterizzano l’identità stessa della scuola: tra mense, turismo, doposcuola, asili nido, sport, dipendenza dalle droghe e politica delle lingue, si è finito per scordarsi dell’italiano – e d’un paio d’altre cosucce sulle quali sarà comunque utile chinarsi quanto prima.
La decisione di introdurre l’inglese obbligatorio nella scuola media ha avuto ricadute un po’ in tutti i settori, con vittime illustri quali il francese, il latino, il greco e – naturalmente – l’italiano. Con la scelta di dare a tutti almeno un’infarinatura d’inglese prima di uscire dalla scuola dell’obbligo, si è tra l’altro disposto che il francese avrebbe dovuto attribuirsi migliore dignità nella scuola elementare, come se non fosse a tutti noto che questa lingua fa parte dei programmi da una trentina d’anni. Eppure nelle segrete stanze del nostro Dipartimento si è sentito impellente il bisogno di dare un segnale forte, che si sta traducendo in un nuovo metodo che esigerà dai Comuni fior di quattrini.
«Alex et Zoé» – questo il nome del nuovo manuale, che trasformerà i nostri frugoletti in potenziali membri dell’Académie de France – è attualmente sperimentato in una cinquantina di classi del Cantone, ma sembra che già nel 2006 sarà generalizzato: alla faccia dell’ortodossia sperimentale. Resta poi da appurare se i Comuni saranno disposti a scucire le borse, visto che il supporto didattico costa parecchio. All’orizzonte, almeno per ora, non spuntano progetti di aggiornamento degli insegnanti: «Alex et Zoé» potrà anche essere la Porsche dei sussidi didattici per l’insegnamento della lingua di Maupassant e di Baudelaire; ma poi ci vogliono i piloti capaci di trarne le migliori prestazioni.
Intanto la pubblicazione dei risultati cantonali di PISA 2003 continua a far clamore e a creare imbarazzi un po’ in tutta la Svizzera, soprattutto per gli scarsi risultati ottenuti in lettura e in scienze naturali. A Ginevra, cantone che condivide con noi il poco invidiabile ultimo posto nazionale nella classifica dei lettori, il patron del dipartimento dell’istruzione pubblica ha già predisposto la reintroduzione delle note scolastiche, come se la lingua materna la si insegnasse con le note, e non – invece e più correttamente – attraverso insegnanti professionalmente irreprensibili, che operano in un sistema scolastico che sa chi è, cosa fa e dove vuole andare: ma non è evidentemente un problema nostro, ché le note le abbiamo da sempre, mentre l’italiano lo padroneggiamo sempre meno.
Con l’aplomb invocato dal ruolo, Gendotti non si è invece lasciato prendere dal panico e ha dichiarato nei giorni scorsi con vibrante senso di responsabilità (Corriere del 18 maggio): «Purtroppo si rileva una dispersione di forze su attività collaterali e materie secondarie. Le griglie scolastiche sono troppo cariche e forse si sono un po’ perse di vista le vecchie ma sempre valide priorità: leggere, scrivere e saper fare di conto». Appunto. Come ho scritto in questa rubrica un paio di mesi fa, il «Gruppo potenziamento dell’italiano», istituito a suo tempo dal DECS, ha rassegnato un rapporto quasi due anni or sono. Da quel giorno più nessuno ne ha parlato. Eppure la diagnosi sullo stato di salute dell’italiano nelle nostre scuole è implacabile: forse, perciò, è giunto il momento di sgravare le griglie e irrobustire la lingua madre. Anche – ma non solo! – per riguadagnare credibilità al di là delle Alpi.