Ha proprio fatto bene, la nostra Polizia, a mettere in guardia i bambini sul fatto che, da oggi, si torna sui banchi di scuola. La scelta, ancorché un po’ strampalata, è ragionevole, perché la scuola non è più quella di un tempo: bambini e ragazzi iniziavano la scuola magari storcendo il naso, perché sapevano chiaramente che le vacanze erano terminate e che, da quel momento in poi, per un po’ di mesi avrebbero dovuto sgobbare per imparare competenze e nozioni. Da qualche anno, però, la scuola sembra cambiata: non è più quella riserva protetta in cui si impara a scrivere, leggere e far di conto.
No, ora a scuola si realizzano faccende ben più complesse e multiformi. In parte per stimoli interni – ispettori, pedagogisti, insegnanti, … – e in altra parte per spintarelle estrinseche – i genitori, l’opinione pubblica, il parlamento, … – la scuola di oggi “fa” molte più cose: un sacco di lingue straniere, l’alimentazione e il sesso, l’educazione stradale e l’informatica, e via enumerando secondo la propria inventiva e la propria esperienza. Da anni non passa giorno senza che a qualcuno non venga in mente qualche nuova stramberia di cui la scuola dovrebbe occuparsi.
È fuor di dubbio che negli ultimi anni la nostra scuola, solo in parte inconsapevolmente e in ogni caso senza una precisa coscienza dei propri limiti, ha voluto strafare, e si ritrova oggi a esser ripagata col tipico calcio dell’asino: perché gli osservatori internazionali vengono a dirci che i nostri ragazzi non sanno leggere, e che anche in ambito matematico non tutto fila via liscio come l’olio. Nel contempo lo Stato, stretto nella morsa delle difficoltà economiche, toglie risorse un po’ qua e un po’ là, aggiungendo difficoltà a difficoltà. Infine – è notizia del giugno scorso – ci si mettono gli ambienti economici, che dopo aver imposto informatica e inglese ora pretendono che la scuola potenzi le refezioni e incrementi il doposcuola: per meglio rispondere alle esigenze dei genitori che lavorano (ma delle recenti proposte di Avenir Suisse – che si definisce Think tank for economic and social issues (letteralmente un «serbatoio pensante su argomenti economici e sociali») –avrò forse modo di discorrere prossimamente).
Certo che a guardarsi attorno vien da dire che la scommessa di oggi abita proprio in queste grandi accozzaglie di ruoli: la posta che vende occhiali, i telefoni portatili che scattano fotografie, le stazioni di benzina che spacciano alcolici e salumi, il negozio di elettronica che vende caffé. Personalmente non mi dà fastidio comprare il pane dal benzinaio, mentre il telefonino pieno di carabattole mi irrita assai. Ma ancor più sgradevole è il vedere un’istituzione fondamentale come quella scolastica ridotta sempre più a livello di un qualsiasi emporio di quartiere, che deve rispondere alle esigenze più mutanti e bizzarre della clientela locale.
Questa scuola, per farla breve, sconcerta, frastorna e disorienta. Alcune moderne conquiste delle scienze dell’educazione permetterebbero per davvero di avere una scuola migliore, in cui tutti – anche i figli dei soliti poveri diavoli – possano per davvero crescere al massimo delle proprie individualità; ma occorrerebbe la modestia di limitarsi a svolgere onestamente i propri compiti storici: che sono pochi ma difficili. Invece l’attualità ci dice che abbiamo imboccato altre strade, improntate alla finzione e all’equivoco.
Attenzione, quindi, bambini (e ragazzi, genitori, insegnanti, direttori, ispettori ed esperti): sono iniziate le scuole. E son colme d’insidie.