Cambiare la scuola per davvero? Pura fantascienza

Finalmente è passato. Il referendum sulla «Scuola che verrà», intendo, quella del ministro Bertoli, una riforma nata male, poco prima della votazione del 2015 per rinnovare esecutivo e legislativo della Repubblica, e affossata a pieni voti, nell’indifferenza di gran parte della popolazione, a pochi mesi dalle politiche dell’anno prossimo. I politologi nostrani dicono che il voto del 23 settembre si ripercuoterà sulle ripartizioni del Consiglio di stato e del Gran consiglio. Sarebbe come dire che, per una volta, la scuola dell’obbligo ha avuto un’influenza palpabile su un paese normalmente sonnacchioso.

Non ho mai nascosto che la vera riforma sarebbe stata quella presentata nel 2014: quella sì, puntava a una Scuola più giusta; non ci sarebbe neanche stato il referendum, perché, è inutile girarci intorno, sarebbe stata affossata dal parlamento, con una maggioranza bulgara.

Morale della favola: la scuola non si tocca, al massimo la si ritocca, con aggiustamenti di piccolo o medio cabotaggio. A resistere, sotto sotto, sono ancora la scuola maggiore e il ginnasio, teoricamente aboliti quarant’anni fa, ma, in realtà, mimetizzati tra i livelli della scuola media, pronti a balzare sulle prede più deboli e sprovvedute. Ecco perché tanti, ma proprio tanti, vorrebbero dei livelli di selezione più efficaci e tempestivi. Ero già rimasto meravigliato quando, non tanto tempo fa, il francese era stato retrocesso in serie B: da lingua armata della scuola media a semplice comparsa, vaso di terracotta in compagnia di molti vasi di ferro. Il cambiamento era avvenuto talmente in fretta, che mi ero chiesto se non fosse stato perché, magari, tanti docenti di francese erano lì lì per andare in pensione.

Alla fine sono queste le cose che contano. Nella scuola le lobby disciplinari hanno una potenza a cui non si sfugge. Si sa, anche se nessuno lo dice, che certe scelte di politica scolastica devono fare i conti con la tradizione e con una difesa interna assai autoreferenziale. Poniamo, per fare un esempio, che un giorno lo Stato decida di diminuire le ore settimanali di italiano, per far posto alla storia dell’arte o al diritto. Va da sé: calerebbe il fabbisogno di insegnanti di italiano. Quindi? C’è qualcuno che è davvero convinto che la riforma passerebbe, al di là dell’indubbia utilità di questa scelta per l’educazione dei futuri cittadini?

Il presidente dell’UDC, che coi suoi omologhi aveva promosso il referendum, gongola. «I fautori del no alla Scuola che verrà – ha annotato – hanno sempre affermato senza equivoci, che il no non è un no alla riforma scolastica, ma un no a quella proposta». Così, ecco già all’indomani un’iniziativa parlamentare che mette lì la sua rivoluzione copernicana del sistema scolastico: sessantun punti, irrinunciabili ma negoziabili. C’è di tutto. Ma c’è, in particolare, che si vuole una scuola ben diversa da questa, il che, di per sé, non sarebbe un male. È quel che vorrebbero un po’ tutti, anche se alla rinfusa. Però tranquilli, non succederà nulla, perché i gattopardi sono sempre all’erta. Quei medesimi addetti ai lavori che, nelle scorse settimane, erano montati sul pulpito per dire che non si potevano condividere le idee così «ideologiche» del progetto di Bertoli, domani getteranno sul piatto altri cavilli. Lascia stare la mia scuola, insomma. D’accordo, siamo andati sulla Luna, forse andremo addirittura su Marte, e Trump è presidente degli Stati Uniti: cose incredibili. Ma cambiare la scuola è al di là della fantascienza.

2 commenti su “Cambiare la scuola per davvero? Pura fantascienza”

  1. Caro Adolfo,

    leggo sempre i tuoi articoli: perché?

    Riesci a inoltrarmeli,
    sono interessanti,
    mi mantengono vivo: il confronto di idee e traguardi da raggiungere sono vitali nell’universo della scuola,
    mi intrighi.

    Arriviamo alla “scuola che verrà”!

    Si è parlato solo di scuola media!!! …

    La scuola comunale (infanzia ed elementare) è stata dimenticata.

    Se ricordi (ne sono certo), in tempi non così recenti, abbiamo condiviso diversi obiettivi per la scuola comunale e li abbiamo esplicitati a chi di dovere. Sicuramente rammenti la/e riunione/i sui flussi Cantone Comuni.

    Una scuola comunale dove, ci prospettavamo (ingenuo/i io/noi), di avere uno spazio di decisione su … , auspicavamo di disporre di risorse finanziarie e decisionali “libere” (non liberali).

    Tutto nel cassetto. Tutto dimenticato. … tutto ….

    Ora con il nuovo Piano di studi ci barcameniamo. Mah!!!

    Ciao

    Raff

    1. Ci sarebbero naturalmente tante cose da dire. È vero che nel contesto della Scuola che verrà si è parlato poco di scuola elementare, ma il progetto stesso calcava sulla Scuola media, che è comunque un influencer inevitabile. Tant’è vero che sin dai primi vagiti della riforma si sono messi di traverso i difensori del liceo: quali erano, in effetti, le «criticità» citate dalla VPOD, se non la famigerata soglia per l’accesso alla scuola media superiore? Poi, tutti gli altri, via a seguire la fanfara dei pifferai di Hamelin.

      Su certe nostre battaglie a cavallo tra XX e XXI secolo, è tutto vero quel che dici. Non possiamo però scordare che certe proposte, anche articolate, non avevano superato nemmeno lo scoglio della nostra Conferenza dei direttori: che è tutto dire. Infatti credo che molti voti favorevoli all’affossamento della Scuola che verrà sono venuti anche dalle scuole comunali.

      Un caro amico mi ha scritto oggi: «Riassunto: si può rinnovare un cimitero, ma non si può contare sulla collaborazione di chi c’è dentro». Concordo.

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