Ogni tanto succedono cose del tutto enigmatiche. Il Corriere del Ticino di venerdì 29 maggio, col titolo Bambini banditi dalla festa, ha riferito di una polemica nata attorno alla cerimonia di consegna delle licenze alla scuola media di Stabio: neanche fosse la prima della Scala o l’accesso agli studi di medicina umana all’università di Zurigo.
Ricapitoliamo. Il direttore della scuola media di Stabio ha mandato ai genitori degli allievi di 4ª l’invito alla cerimonia che suggella la fine dell’obbligatorietà scolastica con il conseguimento della licenza. Pare, a leggere la cronaca, che i destinatari dell’invito abbiano letto che «Visto il numero limitato di posti a sedere, ci permettiamo di invitare le famiglie a presenziare con al massimo due rappresentanti». Non fosse sufficiente il numerus clausus, ecco un’altra raccomandazione: «Inoltre è importante evitare di portare bambini piccoli che disturbano la cerimonia che vuole essere un momento importante per gli allievi che terminano la scuola dell’obbligo. La cerimonia dura al massimo un’ora, quindi i ragazzi potranno incontrare tutti i parenti durante l’aperitivo che seguirà».
Urca!
La scuola è il luogo delle decisioni eccessive. Col ’68 furono cancellati e scherniti tutti i riti scolastici, a partire proprio dalle cerimonie di chiusura degli anni scolastici. Nel 1974, il «mio» anno, la consegna delle patenti per l’insegnamento avvenne nella buvette della scuola magistrale. Il direttore fece un discorso, poi distribuì i diplomi, in un clima da cicaleccio che voleva essere anticonformista, mentre era perfettamente uniformato ai dettami del bon ton studentesco di quegli anni.
Verso la fine degli anni ’90 assistei alla prima cerimonia di consegna dei diplomi della magistrale post-liceale, presieduta dal direttore Ivo Monighetti. Lui, in abito scuro e cravatta d’ordinanza, tenne un discorso di grande levatura. In un’aula magna zeppa di neo-maestre col vestito della festa e parenti emozionati, si recuperava la celebrazione di un rito d’altri tempi, con tanto di rosa rossa come omaggio a ogni neo-insegnante.
Credo che si tratti di una festa importante. Io stesso fui tra i primi, nelle scuole dell’obbligo, a proporre questo rito, a partire dal 1996, nella cornice della corte interna del castello visconteo di Locarno, il luogo dove la Città ospita normalmente i suoi ospiti di riguardo.
Mi sono detto che, nella veste d’uno dei genitori invitati alla cerimonia di Stabio, avrei sicuramente sollecitato tutto il parentado e la cerchia allargata degli amici a partecipare a questo momento di rito esclusivo: tanto per vedere l’effetto che avrebbe fatto. E anche per verificare cosa sarebbe successo.
Ma mi sono anche posto alcune domande, molto serie.
- In presenza d’una coppia di gemelli, si possono portare quattro persone o solamente due? Oppure: considerando che sono autorizzate due persone per famiglia, i due gemelli potranno evidentemente invitare solo una persona: la seconda sarebbe il proprio fratello o sorella?
- Se la madre del ragazzo è incinta, il nascituro conta come una persona? In caso contrario, chi glielo dice ai cattolici osservanti?
- Se una famiglia è di origine straniera e in Svizzera sono presenti solamente i genitori e i figli piccolini, chi si occuperà della prole che non potrà accedere, in mancanza dei nonni che sono rimasti al paese d’origine? E se i nonni abitassero invece a un tiro di schioppo, come si deciderebbe chi partecipa e chi no? Chi resta con in mano la Pèpa tencia?
- È stata allestita una lista di autorità che possono entrare? Se, poniamo, si presenta il Consigliere di Stato direttore del Dipartimento dell’Educazione, può entrare? In quel contesto – siamo a Stabio, non dimentichiamocelo – è più importante lui oppure, per buttar lì qualche nome di stabiesi importanti, Valon Behrami, Paolo Meneguzzi o Cadel Evans?
Mi si permettano due parole, infine, sui bambini piccoli che disturbano la cerimonia. Di recente ho seguito, al Temple de Carouge, un concerto del Choeur de chambre de l’Université de Genève. Si capisce dalla definizione e dal luogo che non si tratta di una Guggenmusik. Accanto al coro, direi proprio nell’abside, c’era una mamma con alcuni figli proprio piccoli. Hanno seguito il concerto senza disturbare. Solo verso la fine, dopo quasi un’ora, il più piccolino ha esibito una piccola frignata: forse aveva fame, chissà. Il Maestro ha sorriso alla mamma e ha indugiato prima di dare l’attacco.
È desolante che una scuola non sopporti i suoi studenti di domani, perché da piccoli potrebbero infastidire.
E fa schifo che non si permetta a un quindicenne di vivere il suo momento di gioia e di traguardo raggiunto attorniato dalle persone che gli sono più vicine: magari sarà l’unica della sua vita.