In un corsivo apparso di recente sul settimanale della Coop, Franco Zambelloni, docente di filosofia al liceo, sostiene che “l’educazione attuale è avviata a formare legioni di incapaci di sopportare lo stress, anche a livelli ridotti”, tanto che “una verifica scolastica provoca stress e perciò va evitata o per lo meno addolcita”. È indubbio, come scrive lo stesso Zambelloni, che il mondo odierno è costellato di “lavori nei quali lo stress è una componente d’obbligo”. Il tema non è nuovo e la scuola, come spesso accade, si trova tra l’incudine e il martello: di qua è essa stessa accusata di cagionare nervosismo e inutile affaticamento intellettuale (?), attraverso le troppe ore di scuola, i troppi test, i troppi compiti, le troppe nozioni da conoscere più o meno a menadito. Di là dovrebbe farsi carico dell’educazione allo stress, cioè dovrebbe insegnare a gestire le molteplici pressioni che il mondo del lavoro potrà causare all’allievo di oggi quando, domani, sarà adulto e cittadino attivo.
Invece capita, se non proprio il contrario, una gran confusione. Prendiamo gli allievi, siano essi bimbetti dell’elementare o ragazzotti della media. Stressati? Certo: ve ne sono di quelli con la settimana programmata al nanosecondo, neanche fossero il Presidente degli Stati Uniti. C’è una gara, tra certi genitori, e investire immensi capitali di energie in attività dopo o para scolastiche, così che i pargoli trascorrono le giornate tra la scuola e la palestra, il campo di calcio e la lezione di chitarra, in un turbinio di affrettati spostamenti e cambi di borsa e cartella. Poi va a finire che la scuola diventa l’ultima delle preoccupazioni – e già oggi le direzioni scolastiche sono qua e là sollecitate per accordare deroghe all’orario settimanale, così da consentire alla Rebecca di turno di seguire la lezione di violino, che l’insegnante può svolgere solo durante quell’ora – cosa cambia se salta l’ora di canto? Senza parlare della miriade di futuri “pibe de oro”, votati nella stragrande maggioranza a finire (se va bene) nei campionati minori, ma intanto sottoposti a ritmi e pressioni da talenti che in nessun modo possono essere sprecati – mentre, nel frattempo, a scuola se ne stanno sprecando di ben altra consistenza.
La scuola, poi, ci mette del suo. Già a partire dalla scuola media ogni allievo incontra, durante un solo anno scolastico, almeno tre o quattro periodi durante i quali i cosiddetti test si succedono a ritmi convulsi. Io non so se questi siparietti dell’anno scolastico generino davvero degli stati d’ansia incontrollabile. Posso immaginare che qualche classe tenti in qualche modo di farsi addolcire la pillola – e so di istituti che si sono dotati di una precisa regolamentazione per lo svolgimento di questi percorsi di guerra. Ma mi chiedo: a che serve tutta ’sta fregola valutativa? A costruire le note medie finali, che poi saranno stravolte dai diversi collegi dei docenti? Oppure ad avere in mano gli elementi probanti nel caso in cui un genitore osasse brontolare o, peggio, impugnare la valutazione finale?
Quando frequentavo la Magistrale avevo un docente che si limitava a due esperimenti all’anno, immediatamente precedenti la consegna del libretto scolastico. Se poi ti capitava di fallire la prova scritta, ti interrogava, offrendoti la possibilità di mostrare se avevi o meno capito ciò ch’era stato richiesto. Nel tempo residuo il professore insegnava, che è ciò che ogni allievo e ogni genitore dovrebbero aspettarsi e pretendere. Invece, a tutt’oggi, è invalsa la moda dei test stagionali, che servono più che altro a creare medie di cui servirsi per mercanteggiare, più in là, un 4 o un 5. Insomma, Zambelloni ha ragione quando osserva che “o si riesce a inventare una società priva di stress, oppure bisognerà ripensare il processo educativo perché insegni gradualmente ad accettarlo”. Però, che stress insegnare!