È possibile valutare il lavoro degli insegnanti?

«Le contrôle du travail des enseignants: contribue-t-il à la professionnalisation de leur métier?» è il tema che sarà al centro del 1° colloquio internazionale sull’innovazione nei mestieri della formazione e dell’educazione, in programma a Ginevra a inizio giugno. Il tema è delicato, anche perché il mondo della scuola non è molto avvezzo al controllo. Vige per lo più un’attitudine auto-referenziale che, almeno sino a oggi, si è sempre rintanata dietro i discorsi un po’ sfuggenti sulle particolarità dello stare in classe con bambini e adolescenti, ognuno con la sua personalità, il suo potenziale cognitivo, le sue capacità di apprendere, il suo contesto familiare. Resta il fatto che, nella scuola, di solito ci si valuta addosso. Nel nostro cantone, dove si parla di vigilanza piuttosto che di valutazione vera e propria, sono essenzialmente due le figure tenute a occuparsi di tali compiti: l’ispettore nelle scuole comunali e l’esperto di materia in quelle cantonali. Nondimeno ormai da qualche decennio non è più ben chiaro, in questo miscuglio di vigilanza e valutazione, chi fa cosa, come, quando e perché. E con quali effetti pratici. Non è un caso se gli insegnanti, che valutano i loro allievi dalla mattina alla sera, sono sempre stati refrattari a valutazioni, qualifiche e classi di merito, anche perché – ma non solo – giudicare la qualità del lavoro di un insegnante non è una bazzecola. Jean Piaget ha affermato che «l’insegnamento è arte altrettanto quanto scienza»: si capisce come sia facile misurare la parte “scientifica” della professione, mentre è ben più arduo coglierne gli aspetti “artistici”. Anche quando parliamo di quel maestro che si è impresso indelebilmente nella nostra mente di allievi del bel tempo andato, fatichiamo a staccarci da concetti come carisma, passione, dono naturale, vocazione: e come si fa a esprimere un apprezzamento oggettivo su attitudini di questo tipo?
In margine al congresso di Ginevra, la rivista «Éducateur», edita dal sindacato degli insegnanti romandi, ha pubblicato un interessante dossier nel numero uscito a inizio maggio. Scrive Dominique Sénore, professore a Lione: «Prima di tutto bisogna essere chiari! Nella scuola della Repubblica il principio del controllo del lavoro degli insegnanti mi sembra pienamente legittimo. In effetti è normale de jure, e senza dubbio indispensabile de facto, che lo Stato si accerti della competenza, della coscienza e delle capacità dei suoi operatori». Lo stesso ragionamento devono averlo fatto anche gli ispettori scolastici ticinesi, che da oltre due anni sono alle prese con il «Profilo professionale per i docenti delle scuole comunali», un documento che dovrebbe diventare il necessario punto di riferimento per tutti gli operatori, una sorta di elenco sistematico e analitico dei compiti del maestro, che servirebbe pure da base per la valutazione del loro lavoro. Il problema, come spesso accade, è che della definizione piagetiana si privilegiano i lati più visibili, quelli “scientifici” e più facilmente misurabili, mentre degli aspetti per così dire artistici non v’è traccia. Per fortuna il problema del controllo degli insegnanti non è circoscritto al nostro cantone. Così è interessante leggere nello stesso numero dell’«Éducateur» le parole del presidente della Société Pédagogique Vaudoise, affiliata al sindacato romando: «Le associazioni professionali avrebbero molto da guadagnare in termini di credibilità se non respingessero ogni processo di valutazione drappeggiandosi con le virtù del sindacalismo duro e puro». Si tratta di un’apertura molti significativa, soprattutto in considerazione del pulpito. Credo tuttavia che, per prima cosa, sarà necessario liberarsi della tradizione secondo cui i controllori (ispettori, esperti di materia, direttori) siano anch’essi un po’ artisti e un po’ scienziati, soprattutto quando valutano e qualificano: ci sono altre strade praticabili, più trasparenti e oggettive. Vedremo se questo colloquio internazionale di Ginevra sarà in grado di dare qualche risposta convincente ai tanti quesiti che sono sul tavolo. Perché in qualche modo bisognerà pure uscirne, prima che qualcun altro si metta a dar le note alla Scuola.

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