Educare è meglio che vietare: per non fare di ogni erba un fascio

Tempi grami, per il telefonino. Tempi di grandi tribolazioni. Ora ci si è messa una pivellina neanche quindicenne, un’allieva della scuola media di Bellinzona. Pare che, con il leggendario telefonino usato come una cinepresa, abbia girato un filmetto osé, di cui, oltre che regista e operatrice, è anche incontrastata protagonista. Poi il cortometraggio è stato trasmesso a qualcuno – chissà: un’amica? un critico cinematografico? – e da lì ha inondato un fracco di altri telefonini. Successivamente dev’essere successo l’irreparabile: qualcuno non ha gradito e ha innescato la delazione. Così, ora, il povero telefonino è di nuovo sotto accusa e lo si vuole proibire, almeno all’interno delle scuole e in mano agli allievi.
Un po’, a onor del vero, è colpa sua. Quando il telefono era ancora appeso a un filo e non lo si poteva scarrozzare di qua e di là, serviva per telefonare. Ora fa di tutto e chi non ce l’ha è uno snob o un miserevole sfigato. Se ne leggono di tutti i colori, sempre con degli adolescenti davanti o dietro la minuscola e rabberciata macchina da presa: stupri di gruppo, insegnanti colti in atteggiamenti inadeguati, ordinarie violenze da branco. Più raramente, passeggiate scolastiche o lieti avvenimenti che interrompono la quotidianità.
Quanto all’uso scriteriato del telefonino, il mondo degli adulti non è così edificante. A prima vista si direbbe che i grandi ne fanno un uso appropriato: cioè telefonano o ricevono telefonate. Non si sa se lo usino anche per scrivere romanzi, girare capolavori da oscar, analizzare complicati business plans o, molto più semplicemente, svagarsi coi giochini elettronici. Ma anche quando si limitano a un uso calzante del mezzo – cioè a telefonare – non sempre sono più beneducati della ragazzina di cui sopra: se una vettura ti taglia la strada o invade la tua corsia in curva, puoi star certo che il suo guidatore ha il telefonino incollato al padiglione auricolare. E non c’è più incontro di lavoro che non sia interrotto più volte da squilli spocchiosi: così vedi il compassato collega che s’aggira ai bordi della sala con espressione di circostanza, e tutti pensano: “Poveraccio, chissà cosa gli sarà successo”. Cos’avranno tutto il santo giorno da raccontarsi, ’sti dipendenti del telefonino, non è dato sapere. Personalmente quando sono fuori ufficio lascio detto di chiamarmi “caso mai bruciasse la scuola”. Qualche fuocherello c’è pur stato, ma molto raro. Se mi guardo intorno constato invece che la repubblica è perennemente messa a ferro e fuoco.
Ma il motore di tutte queste sconvenienze non è il telefonino in sé. Francamente non mi passa neanche per l’anticamera del cervello di trascorrere ore a cicalare col telefonino attaccato all’orecchio, di chiamare mia moglie per dirle che sto arrivando o di frastornare un amico con le mie ciance durante il tragitto da Lugano a Locarno: così, tanto per far passare il tempo. Invece sono gli atti in sé a far riflettere, non il mezzo. In termini educativi, quindi, dovrebbero sconvolgere i contenuti di questi videoclip fatti in casa e il loro uso teppista. Per dirla tutta, non so a quante adolescenti verrebbe in mente una fesseria come quella della nostra ragazzotta. Tuttavia ci si trastulla con intenzioni di divieto che rievocano maledettamente le tre scimmiette, insinuando pure il dubbio che ogni adolescente col telefonino sia un potenziale untore sociale. Ogni persona di buon senso che conosce i nostri giovani sa che non è così. Sarebbe meglio, quindi, se tutti insieme ci chinassimo sull’uso sensato del mezzo, piuttosto che vedere in ogni adolescente un potenziale attentatore della pax helvetica. Anche una qualsiasi Maria che vuole improvvisarsi un’audace Kim Basinger ha diritto alla nostra attenzione: non è educazione alla cittadinanza anche quella? Non sarà di sicuro sparando nel mucchio e inventando proibizioni che fanno di ogni erba un fascio che contribuiremo a creare cittadini civicamente e democraticamente educati.

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