È con un sentimento di vergogna, impotenza, sgomento e tristezza che ho letto La Regione Ticino questa mattina: Ecuadoriani espulsi. Non è stato solo un braccio di ferro fra dipartimenti, come si legge nella cronaca di Davide Martinoni (Ecuadoriani messi alla porta). È invece l’aria mefitica che si respira in questo paese, nell’indifferenza dei partiti di centro – liberali radicali e popolari democratici in testa – e della gente.
Non so perché, ma la polizia che chiede alla direzione della scuola informazioni sulle generalità dei bambini e poi procede spedita verso l’espulsione della famiglia mi ricorda fatti di qualche decennio fa, che pensavo ormai sepolti, almeno in Europa.
Non ho parole, se non per esprimere il totale accordo col direttore del quotidiano bellinzonese, Matteo Caratti, che ha dedicato a questo atto vergognoso il suo editoriale del 4 novembre: Il requiem di Gobbi.
La voglia di riversare in queste righe i miei sentimenti «di pancia» è tanta. Ma sarebbe inutile e controproducente.
Eppure credo ancora nella forza dell’Educazione, affinché in un futuro che mi auguro vicino non si debbano più leggere notizie come questa o andare alle urne per i minareti, il burqa, le iniziative popolari contro gli stranieri, compresa la prossima Ecopop. James Schwarzenbach, con le sue campagne contro l’inforestierimento di oltre quarant’anni fa, al confronto era un dilettante.
Ma non saranno certo i nuovi piani di studio HarmoS, con le loro «competenze» e la loro tecnocrazia mascherata e melliflua, a salvarci dall’egoismo sfrenato e dal cinismo sociale (si veda al proposito l’articolo Di competenze, conoscenze, valutazioni e regole del gioco).
Sono sempre stato contro il disciplinarismo, nella convinzione che la Scuola, in particolare quella dell’obbligo, deve educare attraverso il lavoro di imparare. I futuri insegnanti, compresi quelli del settore medio, devono conoscere la storia delle idee pedagogiche. Di fronte al caso dei bambini ecuadoriani mi vengono in mente due nomi: Johann Heinrich Pestalozzi e Janusz Korczak. Ma, naturalmente, ce ne sono tanti altri.
A proposito dei bambini ecuadoriani espulsi, mi preme rispondere all’amico Adolfo in questi termini che, spero, possano calmare la sua rabbia e delusione. La rabbia e le proteste pubbliche associate a questa decisione lasciano sottintendere che frequentare la scuola dell’obbligo ticinese sia un’opportunità unica, un vantaggio, un’ assicurazione per la vita e la sua riuscita. A questi poveri bambini questo non è stato concesso e in molti hanno gridato allo scandalo. E se fosse un fortuna per loro? Chi opera nel settore scolastico sa benissimo qual è il rischio per questo tipo d’allievo di andare a gonfiare le statistiche drammatiche di una scuola moderna che in fondo non sa come arginare e gestique quel quarto degli alunni che andranno a riempire les satistiche di insuccesso e abbandono scolastico. Certo non è facile fare questo tipo di equazione ma la realta è quella. Come diceva Hutmacher, un sociologo ginevrino caro ad Adolfo: “la réalité résiste”. Detto in altri termini, non sono così sicuro che per questi bimbi sia un così cattivo affare !
Un po’ cinico come ragionamento. La realtà resiste, è incontestabile. Ma non vorrei che, nella battaglia delle “resistenze”, vincessero l’effimero e i furgoni sgarrupati. I due ragazzini erano felici di essere a scuola, a contatto con alcuni coetanei. Saranno più felici e sicuri dopo aver lasciato la Svizzera in fretta e furia, di propria volontà?
Certo caro Adolfo, ma sei stato prorio tu a consigliarmi l’ottimo libro di Ivan Illich “Une société sans école”!