Ai primi di settembre ha avuto qualche eco un’iniziativa dei giovani UDC svizzeri, preoccupati di tutelare la libertà di pensiero nella scuola secondaria. I baldi giovani hanno aperto un sito internet che invita gli studenti a denunciare casi di indottrinamento politico: «Il tuo professore ti vuole influenzare? I giovani UDC corrono in tuo aiuto». E spiegano: «Riceviamo da tempo segnalazioni da parte di studenti provenienti da tutta la Svizzera relative a professori che criticano l’UDC o minimizzano le atrocità commesse dai comunisti nei loro corsi», scrive il presidente del gruppo. Insomma: «Freie Schulen. Stopp der politischen Indoktrination!». Non so se i giovani UDC siano convinti sul serio che un insegnante possa indottrinare schiere di adolescenti per il solo fatto di poterli catechizzare un paio d’ore a settimana. Potrà essere fastidioso, soprattutto per quel che il professore di turno fa al posto di quel che dovrebbe fare. Ma le cose non funzionano proprio così, almeno nella Svizzera italiana, l’unica regione svizzera di cui posso parlare con cognizione di causa.
Ero poco più di un quindicenne quando arrivai in Magistrale, subito dopo il sessantotto. È innegabile che diversi docenti cercavano di attirarci sulla loro sponda ideologica, e qualche maligno narra che, in quegli anni, succedevano le medesime manovre di persuasione politica a senso unico già al ginnasio o alla scuola maggiore. Erano anni così. Se avessero ragione i giovani UDC di oggi, quelli della mia generazione dovrebbero essere tutti maoisti, marxisti, leninisti, castristi o almeno socialisteggianti. La mia stagione da giovane l’ho passata ai tempi delle manifestazioni sul Vietnam, il Mato Grosso, Al-Fatah e l’America latina in genere. È vero: all’epoca che stavamo vivendo, non essere «in linea» con i professori più organici era seccante, perché era di moda dare del fascista a chi era poco interessato al libretto rosso di Mao o alle gesta del «Che». Eppure molti di noi hanno preso altre strade politiche, da destra a sinistra, mentre altri non hanno imboccato nessuna via e oggi non vanno neanche a votare o ci vanno a lume di naso, secondo i propri comodi o le fugaci sensazioni di pancia.
I maestri che tendono a far del proselitismo alla buona, vendendo ricette politiche prêt-à-porter, sopravvalutano le proprie capacità persuasive. Si credono dei trascinatori, un po’ come tanti che correranno l’anno prossimo per un seggio in qualche parlamento. Pare che tanti insegnanti, anche da noi, votino i partiti di sinistra e dicano cose di sinistra, salvo quando dànno le note. Ai politici converrebbe preoccuparsi meno di baggianate come «der politischen Indoktrination». L’unica maniera per non farsi buggerare dalle tante sirene che ti solleticano la pancia in vista di elezioni e consultazioni popolari, è una scuola forte, dove imparare è più importante che prender belle note, dove coltivare lo spirito critico e sviluppare la speculazione intellettuale, attraverso contenuti fondamentali, diventa una garanzia per un futuro sganciato dalle oligarchie. Perché il solo investimento sicuro nella scuola e nell’educazione è quello centrato sul rigore delle conoscenze e sulla capacità degli insegnanti di trasmetterle e di appassionare allievi e studenti. L’educazione alla cittadinanza e alla politica passa di lì, ma non può limitarsi a rincorrere teste ben piene, come si fa sempre più spesso da un po’ di tempo in qua.
L’articolo è stato pubblicato col titolo redazionale «Se imparare è più importante che prendere belle note».
Ebbene sì c’è ancora chi dice che i docenti di sinistra indottrinano le masse, ma perché mai allora in Ticino, noto cantone in cui la scuola è in mano ai “rivoluzionari” di sinistra, le elezioni e le votazioni popolari sono vinte dalla destra, e sono le idee di destra che fanno breccia nella popolazione?
Condivido quanto dice Adolfo: i docenti, tutti, dovrebbero riuscire ad appassionare al sapere gli allievi. E cercare di aiutarli ad avere una testa pensante.