O tempora, o mores. Ho sott’occhio una richiesta di soldi. “Abbiamo bisogno del tuo aiuto!”, recita lo slogan, impresso su un’immagine che ritrae 25 derelitti, tristi, tutti infagottati in un’identica divisa, col numero in bella vista: sembrano deportati. La colletta dev’essere importante, poiché il drappello che scende in campo per canonizzare la questua – e convincerci a schiudere il borsello – è fatto tutto di ufficiali: vi figurano un ex presidente della Confederazione, tre consiglieri di stato, un consigliere agli stati, un consigliere nazionale, qualche sindaco e una sfilata di campioni dello sport. Forse gli sfigati protagonisti della colletta sono affetti da qualche oscura malattia che ne debilita il fisico, ma non è detto.
Ho sott’occhio anche un’altra locandina: “Cecità e povertà” (senza punto esclamativo) è il motto di copertina. Spiega: “45 milioni di persone che soffrono di cecità connessa alla povertà hanno bisogno del nostro aiuto”. Nessuna sfilata di personaggi blasonati; solo le missioni cristiane per i ciechi nel mondo. Insomma: una locandina come tante altre che arrivano a scadenze regolari nelle nostre case, solitamente provenienti da associazioni benefiche e no profit. Eppure c’è da scommettere che la prima colletta avrà più successo. L’altro giorno, una lettrice di un quotidiano cattolico ha scritto al giornale dopo aver fatto i soliti tre calcoli della serva (appunto); e ha argomentato più o meno così: “Noi siamo in 300 mila. Se ognuno di noi dà 10 franchi, la richiesta dei venticinque poveri tapini possiamo esaudirla in un battibaleno, per aiutarli ad avere un futuro”. Cosa sono, in tutta onestà, dieci franchi? Se si pensa, ad esempio, che con poco più del doppio possiamo procurare vitamina A contro la cecità infantile per 25 bambini, si arguisce subito che dieci franchi son proprio minuzzoli.
Francamente, come al solito, non c’è nulla di che scandalizzarsi. In pochi decenni il nostro sistema formativo ha mescolato le carte al punto tale che cultura e subcultura sono diventate indistinguibili. Indubbiamente il campionato di hockey ha più seguito – che so? – delle assemblee di partito, delle messe domenicali e del conflitto afgano (figurarsi), per non parlare di concerti conferenze biblioteche e mostre d’arte. Colpa anche ’sta volta della scuola? Non tanto, se appena si considera che negli ultimi trenta o quarant’anni altri conduttori educativi, per la prima volta nella storia, si sono affiancati alla scuola nelle sue mansioni educative, prendendo molto spazio e, in qualche caso, ritrovandosi più o meno inconsapevolmente in posizione di preminenza.
E allora il pensiero corre diretto alla stampa, ai giornalisti, ai direttori di testate e ai loro editori. A loro piace farsi chiamare “guardiani della democrazia”, ma non si riesce a capire fino a che punto si rendano conto degli effetti culturalmente devastanti che possono scaturire da scelte editoriali e redazionali spesso di difficile comprensione. Già Karl R. Popper, nel suo saggio sulla televisione, aveva cercato di metterci in guardia sui pericoli di una stampa sempre più attenta all’audience e al borsello, ma incurante degli effetti culturali (e collaterali) dei suoi insegnamenti. Senza scordare, poi, che i mass media non sono limitati alla TV. L’inconsistente imperversa: quale altro “passatempo” – assieme a cantanti e protagonisti del cinema e della TV (e dàgli!) – può usufruire di tanto spazio massmediatico come lo sport? Quali altri protagonisti del nostro tempo giovano di siffatta instancabile attenzione, rivestita da una prosa gonfiata che ne descrive le gesta e i pensieri (si fa per dire)? Non è così raro leggere l’intervista allo smutandato di turno, che ‘esterna’ il proprio parere sui grandi avvenimenti del mondo: la parlata non sempre è fluente, il ragionamento non sempre fila, ma vuoi mettere l’opinione del cosiddetto eroe popolare rispetto all’argomentare un po’ ermetico dell’esperto di turno?
Ormai siamo all’uomo che morde il cane, elevato a rango di metodo di lavoro del cronista, che riesce a riempire le pagine anche a campionato in vacanza Non può stupire, quindi, se un’associazione che sta navigando nelle turbolente acque finanziarie dello show businnes nostrano lanci un appello popolare alla ricerca di fondi; né può meravigliare l’appoggio incondizionato dei maggiorenti della nomeklatura nostrana; né stupisce, per terminare, il silenzio degli intellettuali e dei mastini della democrazia: in fondo ci sono cose più interessanti dei ciechi del Burkina Faso.