«La scuola che verrà», onirico progetto del ministro dell’educazione Manuele Bertoli, ha dato la stura a un dibattito che, in realtà, si gioca per lo più tra partiti, sindacati e lobby tra le più varie e cangianti: tutta gente che, normalmente, se le dà di santa ragione. È un’idea giunta quasi come una strenna natalizia negli ultimi scorci del 2014, a pochi mesi dal rinnovo dei poteri cantonali. In questo progetto ci sono delle idee forti e di grande tensione etica, che avrebbero rallegrato Stefano Franscini. Se pensiamo ai tempi spropositati della politica, è però da ingenui credere che una riforma profonda e incisiva come questa possa realizzarsi in un batter d’occhio: basti riandare all’istituzione della scuola media, approvata dal parlamento dopo anni di tira e molla – e che, ancor oggi, aspetta una realizzazione concreta dei suoi obiettivi più alti – o ad altre leggi importanti, ratificate dopo trafile infinite. Fatto sta che «La scuola che verrà», che tanti citano e criticano, a volte senza conoscerne sul serio i propositi, ha persino messo in ombra altri dogmi, sui quali siamo andati alle urne di recente. Bisogna però essere un po’ creduloni per ritenere, senza rossore alcuno, che sia possibile stravolgere le certezze di una scuola assai conservatrice col semplice atto di dichiarare un progetto innovatore: perché un gran numero di insegnanti e di operatori scolastici è progressista finché non dà i voti.
Così oggi siamo al litigio, un litigio che, in definitiva, rinnoverà l’ingessatura della scuola per i prossimi decenni: è un rimprovero di cui gli attuali vertici del DECS dovranno farsi carico. La Destra, frattanto, ha messo le sue carte in tavola, riesumando le solite tesi a favore della concorrenza tra istituti scolastici e una competitività spinta tra gli studenti, come se non fossero sotto gli occhi di tutti gli sconquassi prodotti dalle recenti liberalizzazioni, che hanno toccato, tanto per rammentare le principali rivoluzioni, poste, comunicazioni, ferrovie, energia: si dice che il mercato mette tutto a posto. Sarà. Io, per intanto, non me ne sono accorto.
Per tornare alla nostra scuola, c’è di peggio. I partiti storici, in testa il partito liberale radicale, si sono arroccati su posizioni di conservazione che sono incompatibili con la loro storia: una Storia fondamentale per questo cantone. In tutta sincerità sono sconcertato, e non sono l’unico. Si accusa il progetto di Bertoli di essere ideologico, quasi che fondare e condurre una scuola pubblica e obbligatoria, com’è stato fatto dall’800 in qua, sia una scelta neutra: istituire la scuola obbligatoria, contro il sentire dei contadini di quel tempo, è stata una scelta apolitica? Non è ideologica la decisione di far sì che «In ogni Comune vi sarà una Scuola, ove s’insegnerà almeno leggere, e scrivere, ed i principj di aritmetica»? Sottrarre l’educazione e l’istruzione ai preti, che avevano capito tutto, non fu una mossa politica? Non ci siamo. La costruzione del consenso per una scuola nuova e moderna non si ottiene con il muro contro muro, l’uno, almeno apparentemente, troppo naïf, l’altro manifestamente volto alla salvaguardia di un modello ormai datato. Chi ha fondato la scuola pubblica deve avere la capacità e la volontà di cambiarla, mantenendone le finalità fondatrici. Ma una soluzione moderna non sta nella conservazione a oltranza di una scuola che si riproduce sempre uguale a sé stessa, mentre là fuori il mondo se ne va per i fatti suoi.
Ringrazio gli amici Fabrizio, Romano, Alfonso e Marco, che hanno voluto commentare il mio scritto. Per tanti versi ciò che ha scritto Marco corrisponde alla cruda verità – benché si sia dimenticato della risata che vi seppellirà, del Vietnam, del Mato Grosso, di Cuba e di Ernesto Guevara. Si vede che nelle menti dei pedagoghi fantasiosi di quegli anni sia rimasta solo la famosa esortazione del Che: «El niño que no estudia no es buen revolucionario», con un’interpretazione un poco darwinista e del tutto «ginnasiale».
Per correttezza devo poi riportare un passaggio di un’intervista a Bixio Caprara, neo-presidente dei liberali radicali ticinesi, pubblicata su La Regione di oggi.
Domanda: Fra le priorità lei ha citato la scuola…
Risposta: Parto dalla formazione perché questa è la base delle nostre priorità. Sono preoccupato, credo che soprattutto la scuola media abbia dei problemi. E a proposito del progetto del DECS, «La scuola che verrà», non penso sia tutto da buttare, ma è una questione di impostazione. La scuola ticinese, lo ha detto anche l’ultimo rapporto PISA, non va così male. La mia critica fondamentale è: cerchiamo di capire quali sono i punti critici e fissiamoci su quelli. E chiediamolo ai docenti. Oggi si va a proporre una scuola ancor più inclusiva, quando l’unica a livello svizzero è la nostra. Dunque non è qui che bisogna agire. Ci sono altri temi. Tipo fare una differenziazione nel secondo ciclo…
D.: Tramite selezione?
R.: No, non con la selezione. Sulla base dell’orientamento. Ce n’è uno accademico e un secondo professionale, altrettanto legittimo.
L’accenno alla consultazione (Chiediamolo ai docenti) meriterà un giorno un approfondimento, perché non è sicuro che la loro ricetta parta, nell’ordine, dai bisogni del Paese, degli allievi, delle loro famiglie e pure di loro stessi. Fanno piacere i pensieri di apertura verso una visione di scuola che si scosta dalla tradizione autoriproduttiva di questa importante istituzione: perché in ogni modo il partito liberale radicale ha (e ha avuto) un ruolo centrale nell’istituzione e nella gestione della scuola pubblica da più di due secoli.
Come concludeva spesso «L’Eco di Locarno», se son rose…
Ogni cambiamento porta ansie e paure e che queste paure e ansie le abbiano i figli del 68, della Fantasia al potere, del viva Marx viva Lenin viva MAO TSE TUNG, mi fa onestamente da una parte sorridere e dall’altra un po’ pena.
Il problema è che uscire dalla propria zona di confort e dal piccolo potere l’è düra. E molti insegnanti nella Scuola che verrà vedono questo, alla faccia dei bisogni degli allievi …
So di essere duro e provocatorio.
Bravo Adolfo.
Concordo appieno, ma sappiamo quanto sia piena di ostacoli l’idea che la storia possa insegnare qualcosa a chi vive il presente.
E mi domando: “Saprà l’attuale forza politica (ci metto tutti i partiti), proporre una visione che sia veramente utile e adeguata alla formazione dei nuovi cittadini?”
Cari saluti
Alfonso
Ineccepibile, caro Adolfo. Sottoscrivo sottoscrivo.
Ciao Adolfo, sono assolutamente d’accordo con le tue riflessioni!
Trovo singolare che chi ha sempre rimproverato alla scuola una scarsa flessibilità, sia oggi contrario a chi vorrebbe cambiarla (o almeno a provarci). A maggior ragione se a chiederlo è la stessa Istituzione.
Ai docenti:
«Non perdiamo l’occasione. Collaborando possiamo contribuire a costruire una scuola migliore sia per gli allievi che per i docenti. Proviamoci!»
Salutoni a tutti. Romano