Il solito uso ambiguo della cultura e della conoscenza

Mi scrive spesso un amico dall’Italia per commentare i miei articoli, in cui trova, certo con troppa indulgenza, «osservazioni piene di ragionevolezza». A proposito dei recenti scritti sull’educazione alla cittadinanza ha osservato: «Come si può pensare di trasferire su pagine “scolastiche” l’educazione alla cittadinanza? Immagino ragazzi impegnati a compilare schede e a rispondere alle assurde domande di qualche questionario. Qui in Italia con i grandi temi finisce sempre così: penso all’educazione ambientale diventata pretesto per far leggere brani antologici di un grande Rigoni Stern “amputati” di parti ritenute sconvenienti (mi ero occupato una decina d’anni fa dello scempio antologico del nostro scrittore), ma penso anche con te che le “posizioni in bianco e nero” siano deleterie e finiscano per ignorare che educare alla cittadinanza vuol dire semplicemente educare…»

Non solo in Italia, caro amico.

Credo che si tratti di un vezzo piuttosto diffuso e, tutto sommato, significativamente caratteristico della scuola, che quando non può dàr le note si sente nuda come una ranocchia. Non sapevo delle mutilazioni commesse dalla scuola ai danni di Rigoni Stern. Ma ho dimestichezza con le tante carognate che la scuola ha comminato a tanti geni che hanno avuto la malasorte di finire dentro i programmi scolastici: da poeti a romanzieri a drammaturghi, da matematici a fisici, da musicisti a pittori e scultori, da storici a geologi, è tutto un fiorire di brutalità. La scuola sacrifica pressoché da sempre la conoscenza e la cultura sull’altare della valutazione – cioè, per chiarezza, sull’altare dell’inveterata volontà di assegnare delle note a tutti i costi.

Non c’è insegnamento degno di importanza se la scuola non può mettere in atto una valutazione, espressa in termini di nota scolastica: ciò che significa dentro o fuori, adeguato o inadeguato, va’ avanti o resta lì. Poi, va’ a capire perché, le statistiche ci dicono, ormai da decenni, che si finisce più facilmente dentro o fuori se si appartiene a certi ceti piuttosto che ad altri.

Rigoni Stern è stato immolato per poter fingere, a scuola, di «fare» educazione ambientale. Gli è andata bene. C’è chi è stato oltraggiato per «fare» italiano o matematica: basti pensare a quanti odiano e hanno odiato Dante e Manzoni, Leopardi e Ungaretti, Euclide e Pitagora: mentre sarebbe ben più facile e gratificante farli amare.

Suvvia, mi dicono spesso, lo sanno anche i paracarri che la scuola senza note non funziona. C’hanno provato in tanti, nel passato, ma hanno sempre fallito. Eppure tutti imparano a padroneggiare bene delle competenze, per nulla semplici, come camminare o parlare, senza che i loro insegnanti, di solito una mamma e/o un papà, debbano far capo alla tradizionale paccottiglia scolastica (compiti a casa, lezioni ex cathedra, test, note, comunicazioni ai genitori, libretti scolastici e certificati finali). Per dirla con altre parole: la scuola dell’obbligo potrebbe funzionare molto meglio di quel che accade oggi se solo educare e insegnare diventassero per davvero le travi portanti della quotidianità di ogni aula. Ma, disgraziatamente, non è così.

Mi viene in mente Philippe Perrenoud, quando abbozza un paragone tra la scuola e il sistema sanitario: «Nessun bambino sfugge all’azione pedagogica della scuola, alla quale è affidato da 25 a 35 ore alla settimana per almeno una decina di anni. Se la medicina preventiva potesse prendere a carico le persone in maniera così autoritaria e continuata, non le si perdonerebbe neanche una malattia!». (PHILIPPE PERRENOUD, La pédagogie à l’école des différences, 1995, Paris: ESF éditeur).

Ogni tanto faccio un sogno. Vedo le vie e le piazze d’Europa, da Palermo a Reykjavík e da Lisbona a Vienna, che si riempiono di maestre e maestri di scuola elementare e, addirittura, professoresse e professori della scuola media. Sono raggianti, allegri e risoluti. Espongono degli striscioni, con slogan solo apparentemente fantasiosi: Aiutiamoli a fare da soli. Oppure: È difficile far bere un cavallo che non ha sete: noi sappiamo come fare. E ancora: I bambini non sono più sciocchi degli adulti, hanno solo meno esperienza. E tanti altri, bellissimi e profondi. Ce ne sono addirittura alcuni di stampo politico: Per la selezione c’è tempo dopo: non siamo i vostri servi. Milioni di insegnanti, che probabilmente hanno creato la loro primavera grazie al web, per giungere alla conclusione, dopo qualche secolo, che sì, il re è nudo e che loro non ci stanno più! Nel sogno ci sono, ai lati delle piazze e delle strade, migliaia e migliaia di mamme e di papà, nonne e nonni, zie e zii e amici. Sono felici, perché credono che la sommossa degli insegnanti lascerà il segno. Sarà rivoluzionaria sul serio. È la primavera della scuola.

È quasi sempre un sogno elettrizzante. Però capita che mi svegli tutto sudato e angosciato. Perché qualcuno s’è messo a sparare sui manifestanti e su chi li applaude. C’è sempre qualche cretino che dà ordini del genere, anche se, di solito, non è neanche necessario arrivare a questi punti.

Un commento su “Il solito uso ambiguo della cultura e della conoscenza”

  1. Caro Adolfo
    Buona giornata e salute. Sempre interessante leggerti. Sottile e realistico il tuo commento su Rigoni Stern, ho spedito il tuo articolo alla “Anna” Rigoni e al Dott. Mendicino, biografo di Mario Rigoni Stern.
    A proposito di: Come si può pensare di trasferire su pagine “scolastiche” l’educazione alla cittadinanza ? Non ho avuto la possibilità di leggere i commenti recenti (ero in giro per la Francia), lo farò al più presto.. Un commento a freddo. A Bordeaux notando l’ordine, pulizia, il comportamento del cittadino, in particolare il comportamento dei giovani nel Tram, nelle Piazze e strade, anche … nella ore di vita notturna, ho preso contatto con l’amministrazione pubblica per chiedere, capire, imparare ! La cordiale risposta è stata: Caro Monsieur, “Conoscere e rispettare le leggi, essere educati, ricordare e non dimenticare quanto la scuola insegna, questa è Cultura ! Con un po’ di ironia, non alla “Je Suis Charlie”, pensando alla “Cultura” che si vive in Piazza Grande a Locarno, ai grandi temi elettorali dei nostri pseudo politici per la scuola, alla nostra cara democrazia diretta mi sono ritrovato in strada con il sentimento di essere veramente un “piccolo” svizzero.
    Ogni bene e Buona Vita.

    Graziano

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