Era ora. Ci son voluti più di dieci anni di critiche e di proteste affinché, per diventare docente di scuola media, fosse possibile ottenere l’abilitazione – vale a dire il bagaglio di conoscenze e competenze per saper insegnare – frequentando il Dipartimento Formazione e Apprendimento della SUPSI (DFA) e, nel contempo, svolgere un’attività lavorativa. Era dal 2002, con l’istituzione dell’Alta Scuola Pedagogica e tutto l’ambaradan di regole spesso incomprensibili, che per insegnare alla scuola media era necessario conseguire prima la laurea nella disciplina e poi – ma solo poi – il diploma di docente. Adesso tutto sembrerebbe rientrare nella logica. In dicembre il Consiglio di Stato ha sottoposto al Parlamento il messaggio per la modifica legislativa volta a introdurre la possibilità di svolgere l’abilitazione alla docenza in parallelo a una professione; e a metà gennaio la direzione del DFA ha presentato alla stampa il suo nuovo modello formativo, che dovrebbe entrare in funzione già nel settembre prossimo, a meno di un’improbabile melina da parte del Gran Consiglio.
Naturalmente non sarà questa modifica strutturale che, da sola, potrà risolvere i gravi problemi. Come forse si ricorderà, in questi dieci anni le critiche alla scuola magistrale (ASP, DFA) sono state pesanti, fino a far dire a più d’uno che agli insegnanti di scuola media si chiedeva «troppa pedagogia», sottintendendo la condanna senza appello di tutto ciò che dava corpo all’abilitazione: superflui cavilli psico-peda-socio-didattici, mentre in realtà è poi sufficiente «sapere le cose»… Eppure è sempre più urgente immettere nella scuola media insegnanti capaci e preparati, il che significa che, accanto all’irrinunciabile conoscenza della propria disciplina, non si può prescindere da un bagaglio di competenze professionali che trasformano il laureato in un insegnante preparato e, perché no?, avvincente.
La scuola media resta una scuola molto selettiva, di solito più propensa ad assegnare valutazioni che a insegnare: compito difficile quant’altri mai, soprattutto considerando che gli studenti sono adolescenti alle prese col male di crescere. Lo sanno bene allievi e genitori quale sia la trafila di test che scandisce il passare dei mesi e degli anni scolastici, un vero percorso a ostacoli inutile e costoso, che non educa e non dà solide competenze disciplinari: tanto che metà degli allievi, giunti al termine della scolarità obbligatoria, non potrà far altro che abbracciare un apprendistato, mentre l’altra metà avrà l’opportunità di frequentare la scuola media superiore, spesso facendosi bastonare durante il primo biennio. Una bella frustrazione.
Sarà quindi con curiosità e grande attenzione che seguiremo la qualità della formazione pedagogica e didattica che il DFA saprà trasmettere ai futuri insegnanti della scuola media, affinché anche quest’ultimo fondamentale segmento della scuola dell’obbligo si trasformi in un luogo protetto in cui ogni allievo acquisisca al suo massimo livello di potenzialità le discipline fondamentali – l’italiano e la matematica, ma anche la storia, le scienze, le arti, le lingue, … – e che, nel contempo e trasversalmente, impari a praticare le regole del nostro vivere civile, primariamente improntate sul diritto. Perché questa sarebbe la scuola di cui il Paese ha bisogno per educare alla cittadinanza: una scuola dove si impara con impegno e dove le regole della convivenza non sono un optional o, peggio, un tribunale permanente.