Il bello di certi anniversari è che permettono di recuperare delle conoscenze che, se va bene, erano state acquisite negli anni di scuola, mentre ora sono immerse nelle nebbie più fitte. È stato il caso nel 1991, con le celebrazioni del 700° della Confederazione, o, in anni più recenti, con il bicentenario del Canton Ticino membro della Confederazione svizzera, nel 2003, quando si era parlato dell’Atto di mediazione. Per capirci: ricordo un servizio della TSI durante il quale il cronista aveva posto a bruciapelo la domanda ad alcuni politici d’alto bordo, attesi all’uscita da uno degli innumerevoli momenti ufficiali di quell’anno: «Cos’è l’Atto di mediazione?», aveva chiesto il giornalista. Arrampicate sui vetri e giustificazioni un po’ comiche.
Il 2014 sarà l’anno del centenario dello scoppio della Grande Guerra. È dunque lecito aspettarsi pubblicazioni, servizi giornalistici, esposizioni e opere divulgative che mireranno a offrire almeno i contorni essenziali di cosa fu la prima guerra mondiale. In un simpatico articolo apparso sul Corriere, Michele Fazioli ha osservato: «Una volta ho scritto che i nostri studenti non imparano bene la Storia. Alcuni docenti di storia mi hanno rimproverato, dicendomi che non è vero. Sarà. Comunque io più volte e ancora recentemente ho effettuato dei piccoli test. Ho interrogato alcuni studenti al termine del ciclo di studi sulla nascita del Canton Ticino e sulle lotte fra liberali e conservatori. Ho chiesto loro se sapessero come mai cento anni fa fosse scoppiata la Prima Guerra mondiale. Boh!, mi hanno risposto».
Capisco la reazione dei docenti di storia, che immagino stizzita e un po’ piccata. Conosco qualche docente di storia che va in aula a combattere contro i mulini a vento con grande passione e competenza, credendo profondamente in quel che fa. Ma lo studio della storia, in questi tempi globalizzati e tecnocratici, sembra inutile ai più. Fa ancora parte dei nostri programmi, almeno a partire dalla scuola media, ma non si sa se per inerzia, perché s’è sempre fatto così, oppure se per la convinzione che la storia sia maestra di vita – o, almeno, uno strumento inevitabile per leggere il presente.
Penso che di storia sia possibile parlare sin dalla scuola elementare. I programmi attuali, però, sono sufficientemente vaghi, così che è solitamente difficile chinarsi in maniera articolata su qualche tema dal sapore storico. Lo scorso anno il DECS ha pubblicato il primo volume di un bellissimo manuale di storia per la scuola media, «La Svizzera nella storia». Si percorre la strada che va dal paleolitico al XVI secolo, mentre il secondo volume ci porterà fino ai nostri giorni. Solo che già il primo tomo occupa il programma dei primi due anni, penetrando pure nel terzo, mentre la dotazione oraria è mediamente di due ore settimanali. Come faranno i nostri ragazzi a far propri questi contenuti e a ricordarne almeno gli aspetti essenziali è un mistero. Non mi risulta che la didattica abbia messo a punto negli ultimi anni nuove procedure incredibilmente efficaci, tanto più che la storia non fa certo parte delle materie più temute da allievi e studenti, perché per la selezione, si sa, si impiegano ben altre armi. E ora, ma non è una novità, c’è chi vorrebbe introdurre una nuova disciplina, l’educazione alla cittadinanza, con tanto di note e di inevitabili test, togliendo ore proprio alla storia: così che, oltre al danno, rimedieremo anche le beffe.
A volte mi sembra che la scuola (a partire dalle elementari) per ritrovare una propria strada dopo aver lasciato quella con la qual siamo cresciuti noi nati prima degli anni settanta si dimentica del suo ruolo. Dare le basi per poter scegliere la strada futura, leggere, scrivere e, come ricordi, guardare alla storia come uno straordinario mezzo per capire come la società della quale facciamo parte cresce ed evolve.
Certamente l’insegnamento della storia, al di là della sua valenza “scolastica” e dell’attenzione che meriterebbe, è una scelta difficile. I penultimi programmi della scuola elementare, se non sbaglio del 1958, proponevano pochi contenuti, per lo più “patriocentrici”: ricordo, sui miei quaderni, il general Guisan e l’immarcescibile Guglielmo Tell. I “nuovi” programmi, dell’84, sono, diciamo, minimalisti e un po’ banali, soprattutto perché si fermano alla superficie: lo studio (sic) del villaggio o della città in 3ª, lo studio della regione in 4ª e lo studio del cantone in 5ª.
All’insegnamento della storia avevo dedicato una puntata di «Fuori dall’aula» l’11 gennaio 2008 (La scuola e la ricerca della storia che si è perduta). Ma ricordo un episodio che la dice lunga. Nel 1995, in occasione del 50° della fine del secondo conflitto mondiale, avevo organizzato alcuni incontri di formazione per gli insegnanti della mia scuola sul tema della Seconda guerra mondiale e dell’Olocausto. Ricevetti una ferma presa di posizione da parte del Dipartimento, che mi ricordava come questo capitolo della nostra storia non facesse parte dei programmi della scuola elementare e che, di conseguenza, era necessario ricordare ai maestri che in nessun caso si sarebbe dovuto parlare di queste cose a scuola. Così andava e va il mondo.
C’è da sperare che prima o poi – meglio prima – qualcuno riprenda in mano la questione e prepari qualche bella proposta per l’introduzione allo studio della storia sin dalla scuola elementare: non sono certo i temi e le idee che mancano.