«Discours Suisse», che non è il solito ‘Think tank’ legato agli ambienti economici che contano, bensì un progetto sostenuto dall’Ufficio federale della cultura, ha lanciato l’allarme a fine dicembre: l’insegnamento della storia svizzera è in crisi nei quattro angoli del Paese. Meglio tardi che mai. L’ATS – l’agenzia nazionale di stampa, che è uno dei partner di ‘Discours Suisse’ – scrive: «Nella maggior parte delle scuole del Paese l’insegnamento della storia svizzera viene trascurato. Non è dunque un caso che scarseggino sia i programmi didattici unitari, sia le ore di lezione, e che i docenti svizzero-tedeschi considerino la loro materia addirittura in crisi. Quale storia patria viene tramandata oggi agli allievi? Uno sguardo nella classi scolastiche evidenza ovunque notevoli differenze e problemi».
Due, in generale, i nodi che provocherebbero la crisi: le poche ore d’insegnamento riservate alla storia e le scelte relative ai programmi. Sulla questione del tempo è difficile disquisire. Sappiamo che ogni disciplina, se potesse, aumenterebbe il suo monte-ore, non è chiaro se per amore spassionato della materia o per più prosaici interessi sindacali. Quanto ai contenuti dei programmi, sembra quasi un’ovvietà, ma insegnare oggi la storia svizzera – storia che non può prescindere da altre ‘storie’ – è naturalmente difficile. I socialisti ne insegnerebbero una, i liberali un’altra, i radicali un’altra ancora e i democentristi restaurerebbero la storia degli eroici ed elvetici miti. In tal senso, quindi, sarebbe auspicabile che qualcuno si assumesse il rischio e si lanciasse. Stando al citato comunicato dell’ATS, «Christian Berger, segretario generale della Conferenza intercantonale dell’istruzione pubblica (CIIP) della Romandia e del Ticino, non esclude cambiamenti con l’accordo HarmoS», il nuovo concordato per l’armonizzazione dei sistemi scolastici elvetici che dovrebbe farsi concretamente sentire tra non molto. Il che, tutto sommato, non sarebbe un male: dato per scontato che un programma di storia univoco per tutto il Paese darebbe certamente la stura a una bella polemicona, sarebbe un valido segnale che la Conferenza svizzera dei Direttori cantonali della pubblica educazione non si occupa solo di matematica, scienze e lingue straniere.
Il problema, semmai, è che l’insegnamento della storia, dall’elementare in su, è andato in crisi già quarant’anni fa. Forse qualcuno ricorderà che il ’68 aveva fatto strame dei precetti in vigore fino ad allora. Giustamente, almeno per molti versi, erano stati messi al rogo tanti miti, quali Guglielmo Tell, il giuramento del Grütli, Arnold von Winkelried, la zuppa di Kappel, … Alla storia delle date e degli eroi da mandare a memoria, si era tentato di sostituire la storia degli Uomini, da capire e da scoprire. La svolta, tuttavia, è incappata in un colpevole ammanco pedagogico e didattico: pedagogico, perché non si è più stati in grado di operare responsabilmente delle scelte di contenuto; didattico, perché a furia di tentare percorsi indiziari – neanche gli allievi dovessero trasformarsi in tanti piccoli Sherlock Holmes dell’indagine storica – la storia non la sa più raccontare nessuno. Il risultato è un tragico deficit di conoscenze che permea tutte le generazioni dell’ultimo mezzo secolo.
La denuncia di «Discours Suisse», dunque, può rappresentare il più classico dei sassi nello stagno, a condizione di non nascondersi dietro il solito dito per fingere sorpresa e affermare che ‘Tout va bien, madame la marquise’: perché è vero che in tutti i programmi scolastici svizzeri – e sono tanti! – vi è uno spazio dignitoso per la storia, non solo svizzera; ma è altrettanto vero che, come spesso succede, tra le buone intenzioni e la realtà c’è un fossato più o meno largo e profondo.