Se c’è una disciplina che è uscita con le ossa particolarmente rotte dalle riforme scolastiche del dopo ’68 questa è la storia. Ricordate il vecchio nozionismo da mettere alla gogna, quello con l’anno della rivoluzione francese e del patto del Grütli (troppo facile, dai!) o i nomi, in ordine di apparizione, dei sette re di Roma? Era una scuola-quiz, che attraverso l’insegnamento della storia contribuiva a plasmare l’appartenenza alla Patria e la sudditanza all’establishment – basti pensare all’eroe nazionale, quel Guglielmo Tell esibito come protagonista reale della nostra storia primitiva e rimesso sulla mensola delle leggende dallo svizzerissimo Max Frisch, guarda caso nel 1971. La contromossa fu l’importanza dell’imparare a imparare, a volte sul vuoto assoluto, che però non ha resistito a lungo, col risultato che la storia è pressoché sparita dalla scuola elementare, mentre nella scuola media è ricomparsa più o meno intatta, un po’ meno quiz, ma decisamente più complicata. Insegnare la storia è naturalmente molto difficile, e ancor più arduo è far nascere il necessario entusiasmo verso una disciplina che l’economia, grande ispiratrice della scuola di oggi, non cita mai quando detta le condizioni per formare i cittadini di domani. Così, assai spesso, ci si arrabatta in qualche modo per cercare di costruire competenze, che però sono insensate senza le tanto oltraggiate nozioni: ma va quasi sempre a finire che i test chiedano proprio solo quelle, così che, una volta superato l’esame, si può resettare il cervello.
È dunque con una certa trepidazione che, nei giorni scorsi, ho cominciato a sfogliare il primo volume del nuovo manuale di storia per le nostre scuole – «La Svizzera nella storia» – edito dal DECS e curato da un apposito gruppo di lavoro composto da esperti e insegnanti di storia, che è stato consegnato a tutti gli allievi di I e II media (il secondo volume, destinato agli allievi di III e IV, sarà distribuito l’anno prossimo). Il volume è molto interessante per diverse ragioni. Come si legge nell’introduzione, si è voluto «inserire pienamente la storia nazionale nel processo politico, economico, sociale e culturale dell’Europa e del mondo», così che «il manuale si orienta verso un altro tipo di impostazione: la Svizzera non come risultato di un caso isolato, ma punto di arrivo di una rete di relazioni che hanno condizionato e favorito determinate scelte al posto di altre». I contenuti sono coerenti con la dichiarazione di partenza e chiari nell’esposizione, con un ottimo equilibrio tra descrizioni, documenti, illustrazioni, fotografie, carte, voci di glossario, proposte di approfondimento, esercizi e corposi riferimenti alla nostra storia, che esce quindi dal Sonderfall per entrare nella storia dell’Europa.
Resta inteso che il manuale, da solo, non potrà fare miracoli. Esso è un po’ come uno spartito, che da solo non dice nulla. Toccherà alla scuola e ai suoi insegnanti dar vita a quelle note, a quei ritmi, ai piani e ai forti, ai lenti, agli andanti e agli allegro con fuoco: affinché la storia risuoni nelle menti e non resti impantanata nell’inutile prassi dei voti e delle medie. Imparare a storicizzare il presente non è sterile manierismo scolastico, ma conquista di libertà, soprattutto verso le tante lusinghe che generano a ritmi esasperati nuove generazioni di consumatori e di elettori sempre più sprovvisti di senso critico, siano essi autoctoni DOC o immigrati dell’ultima ora.
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