Le donne, i buoi e quei pregiudizi così difficili da debellare

Mai come oggi termini come razza, razzista e razzismo sono diventati così frequenti nei dibattiti e nelle dichiarazioni (non solo) dei politici: dai grandi quotidiani giù giù fino alle moderne osterie – che in questi anni sono diventate i famigerati social, senza scordare l’esemplarità dei commenti sconnessi e fuori controllo che infestano un gran numero di portali e di edizioni online dei grandi media. Ma è difficile trovare qualcuno che acconsenta a definirsi razzista. Nessuno lo è, razzisti sono gli altri.

L’ultimo caso è rappresentato da quel candidato della Lega che ambisce a governare la regione Lombardia. Così titolava HuffingtonPost Italia: «Troppi migranti, razza bianca a rischio». Poi corregge il tiro: «È stato un lapsus». Ma, per difendersi, aveva citato nientepopodimeno che la Costituzione italiana. Ancora l’HuffingtonPost: Attilio Fontana colpisce ancora. Nonostante consideri “inopportune” le sue parole di ieri sulla “razza bianca a rischio” per l’invasione dei migranti, il candidato del centrodestra in Lombardia insiste sul tema. “Dovrebbe anche cambiare la Costituzione perché è la prima a dire che esistono le razze”. Il riferimento è all’articolo 3 della Costituzione italiana: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Le style est l’homme même, avrebbe chiosato Georges-Louis Leclerc de Buffon, il naturalista del XVIII secolo che ha influenzato gli evoluzionisti del secolo successivo. Insomma, uno che di razze se ne intendeva.

Nel ’72 Giorgio Gaber cantava: In Virginia il signor Brown era l’uomo più antirazzista. Un giorno sua figlia sposò un uomo di colore. Lui disse «Bene!», ma non era di buon umore. Il ritornello, tra una situazione e l’altra, fa così: Un’idea, un concetto, un’idea / finché resta un’idea / è soltanto un’astrazione. / Se potessi mangiare un’idea / avrei fatto la mia rivoluzione. E c’è pure una premessa: È cambiarsi davvero, è cambiarsi di dentro, che è un’altra cosa. [Giorgio Gaber, “Un’idea”, dall’album «Dialogo tra un impegnato e un non so», 1972].

 È difficile far cambiare opinione a un adulto che s’è fatto un’idea zootecnica della specie Homo sapiens, quand’è chiaro che non esistono razze umane. Da qualche parte qualcosa non ha funzionato a dovere nell’educazione di tante persone, che son venute su così, con le loro certezze, come quelli che credono che la terra è piatta, che i castelli sono infestati dai fantasmi, che l’astrologia è una scienza e che i regali di Natale li porta Gesù bambino; e prima i nostri, che è una versione aggiornata e allargata del vecchio donne e buoi dei paesi tuoi.

Se, come detto, è quasi impossibile far cambiare certe idee a un adulto, bisognerebbe invece darsi da fare per l’educazione dei cittadini di domani – mi riferisco, per intenderci, ai ragazzini che frequentano la scuola dell’obbligo, ma anche a studenti e apprendisti delle scuole medio-superiori e professionali. Oggi non sono più sufficienti la lettura di «storie esemplari» o i pistolotti moraleggianti che fanno il verso, attualizzandolo, al Cuore deamicisiano. I predicozzi, magari tolti dal fondo dei cassetti quando succede “qualcosa” che va oltre la ragazzata, mettono in pace le coscienze del sistema scolastico, ma servono a poco. Sono strategie che forse potevano funzionare per educare i figli del secondo dopoguerra, che crescevano in una società per molti versi meno caleidoscopica di quelle venute dopo, e che, soprattutto, sentiva da più parti le storie vere, molto vicine nel tempo, del nazismo e del fascismo, di Hitler e di Mussolini, dell’olocausto e delle bombe atomiche sganciate sul Giappone.

Invece è importante che il discorso prenda le mosse da basi scientifiche, ad esempio spiegando che la specie Homo sapiens fa parte della famiglia degli Hominidae, assieme agli oranghi, ai gorilla, agli scimpanzé e agli australopitechi – quest’ultimi ormai estinti da un po’.

Oggi la divulgazione scientifica ha assunto un’enorme importanza formativa e sarebbe utile che entrasse sempre più nella scuola. Gli esempi sono numerosi. Dato che sono partito dal discorso sul razzismo ho scelto di segnalare due lavori che hanno una base scientifica molto complessa, ma che, sul piano della divulgazione, offrono degli spunti che dovrebbero toccare da vicino la nostra sensibilità.

Ellaha, giovane curda. Immagine da YouTube, Let’s Open Our World

C’è un bell’esperimento, riassunto in un emozionante filmato presente in YouTube, cinque minuti avvincenti. È stato chiesto a 67 giovani provenienti da tutto il mondo di fare un test del DNA. Hanno scoperto di avere molto più in comune con altre nazionalità di quanto avrebbero mai pensato. In quei cinque minuti di questa sintesi ci sono momenti divertenti e altri emozionanti.

Ad esempio, seguiamo il dialogo dei due ricercatori con Jay, un giovane inglese.

JAY. Sono fiero di essere inglese, la mia famiglia ha servito nell’esercito, abbiamo difeso questo paese e siamo stati in guerra. Sì, penso che il mio sia il miglior paese del mondo, in tutta onestà. Quindi so di essere inglese. I miei genitori e i miei nonni mi hanno detto che sono inglese, perciò non vedo bene altre opzioni, devo per forza essere inglese.

RICERCATORE. Secondo lei, che cosa la rende inglese?

Il fatto di essere nato in Inghilterra. Il fatto che i miei genitori siano nati in Inghilterra. Il fatto che mia nonna e mio nonno siano nati in Inghilterra. [Mostra una foto dei nonni.] Entrambi sono stati nell’esercito, come dicevo, tutti e due in marina, la Royal Navy. Io in mezzo, con mio fratello maggiore a sinistra e mio fratello minore a destra.

Pensi ad altri paesi e ad altre nazionalità del mondo; ce ne sono alcune con cui pensa di andare d’accordo o che non le piacciono molto?

La Germania, sì, non mi piacciono i tedeschi.

Perché mai?

Eh, probabilmente deriva dai miei genitori e dai mei nonni, probabilmente risale alla guerra.

Che ne direbbe di intraprendere un viaggio basato sul DNA?

Che cosa potreste dirmi che non so già?

Sa come funziona il DNA? Ne riceviamo metà dalla mamma e metà dal papà, il 50% da ciascuno di loro, e loro ricevono il 50% dai loro genitori, e così via indietro nel tempo. E tutti quei frammenti dei nostri antenati fanno di noi la persona che siamo.

Dovrebbe sputare in questo tubo, lo riempia di saliva fino alla lineetta nera. Bene, la sua storia è in quel tubo. Che cosa ci dirà?

Dirà che sono inglese, come vi ho già detto.

Due settimane dopo i due ricercatori incontrano il gruppo di giovani che si è prestato per questo esame. Ogni giovane riceve un grafico con la sua stima etnica: provenienza geografica e percentuale.

Jay, può scendere e raggiungerci? È pronto?

Non proprio, ma ormai sono qui, perciò…

Gli viene consegnata la busta coi suoi risultati.

(Sorride e sospira). Irlanda 55%, Gran Bretagna 30%, 5% tedesco e 5% turco… Ci avete infilato anche la Turchia solo per farmi arrabbiare? Germania… Oddio… Germania. Vi avevo detto che non avrei voluto essere tedesco o turco e ci sono entrambi, quindi… È un po’ uno shock scoprire da quanti paesi provengo.

Non è solo Jay dall’Inghilterra, vero?

Sì, sono Jay da tutti i paesi, a quanto pare.

Immagine da YouTube, Let’s Open Our World

Allora, le piacerebbe visitare tutti questi posti?

Turchia e Germania? Sì.

Buon viaggio.

Per chi ha tempo è voglia, ci sono i colloqui personali con Ellaha, giovane curda, Karen del Burundi, Carlos di Cuba, la francese Aurélie, Yanina dalla Russia e altri.


Per restare al tema delle razze e del razzismo, segnalo, tra i tanti, la ricerca che sta conducendo la prof. Anna-Sapfo Malaspinas, attualmente docente all’Università di Losanna. Specialista in biologia computazionale ed evolutiva, è interessata alla genetica delle popolazioni, in particolare partendo dall’analisi del DNA di popolazioni scomparse.

HORIZONS, periodico di divulgazione della ricerca scientifica legato al Fondo nazionale svizzero della ricerca scientifica e all’Accademia svizzera delle scienze, ha pubblicato in dicembre un servizio sui recenti lavori della giovane docente e ricercatrice: Chasseuse de génome aux antipodes – La généticienne qui fait parler l’ADN des peuples disparus.

Tra l’altro la rivista rimanda a un progetto didattico concreto, scaturito dai lavori della prof. Malaspinas, una pièce teatrale per grandi e piccoli – Génome Odyssée – Un viaggio teatrale al cuore della scienza e delle tradizioni aborigene – che è stato presentato al museo etnografico di Ginevra nell’autunno scorso e che resterà al Musée de l’homme di Parigi fino al 27 gennaio prossimo.


Sono solo due esempi tra i tanti. Oggi la divulgazione scientifica è praticata da specialisti di grande bravura e sa porgere temi complessi con grande fascino. Attraverso il ruolo insostituibile dei maestri, è importante trasmettere queste passioni per superare ogni forma di pensiero magico: perché la conoscenza è una cosa seria e dev’essere possibile, nella scuola, occuparsi di problemi complessi per il solo piacere di conoscere e di accrescere il proprio bagaglio culturale.

Il tempo delle opinioni importanti, quelle che guidano il cittadino quando deve prendere delle decisioni o esprimere dei pareri, verrà più in là. Ma sarebbe conveniente imparare sin dall’età più tenera che le verità scientifiche non sono convinzioni personali, magari dei semplici pregiudizi, o peggio il risultato di una votazione. La scienza non è una mera questione di maggioranze e minoranze – ne sanno qualcosa quegli scienziati, che un tempo erano pure filosofi, incappati nelle ire dei poteri dell’epoca, perché le loro scoperte mettevano in dubbio le credenze dei contemporanei. Insomma, la terra non solo non è piatta, ma addirittura gira attorno al sole, e non il contrario.

3 commenti su “Le donne, i buoi e quei pregiudizi così difficili da debellare”

  1. È vero, un test così dovrebbe proprio essere obbligatorio!
    Ci sarebbe sicuramente una maggior comprensione reciproca … specialmente qui in Ticino.

    1. Solo e specialmente in Ticino?
      Che ne diresti di dare ogni tanto un’occhiata alla campagna elettorale che si sta svolgendo in Italia?

  2. “Oggi la divulgazione scientifica ha assunto un’enorme importanza formativa e sarebbe utile che entrasse sempre più nella scuola.”
    Assolutamente sì. Ma mi pongo una domanda (provocatoria, siccome non ho una soluzione a portata di mano): sarà possibile che i docenti siano in grado di farlo autonomamente, e senza cadere nei canti delle sirene dei tanti ciarlatani che scrivono blog in tutto e per tutto (tranne che per i contenuti, si intende) simili a quelli dei ricercatori veri?

    Il problema è di ampia portata, in quanto viviamo in una società in cui se l’analfabetismo linguistico è riconosciuto e forse anche combattuto, mentre l’analfabetismo scientifico è ignorato e troppo spesso brandito come oggetto di fierezza (“Io ho sempre fatto schifo in matematica, ma guarda dove sono arrivato nella vita” [cit.]): troppi docenti non ne sono esenti. I docenti di scienze, che dovrebbero essere il primo filtro per i giovani, cominciano a insegnare agli undicenni – forse troppo tardi? – e troppo spesso si affannano in programmi in cui devono insegnare una “zoologia” di nozionismo scientifico, invece che a riconoscere e pure ad applicare il metodo scientifico – che a quei livelli altro non è che senso critico.

    Come dici nell’articolo, non possiamo più permetterci di vivere in un mondo in cui non si conosce la scienza: oggi come nel medioevo siamo tempestati da false credenze – panacee per tutti i mali, sistemi per produrre energia infinita… per non parlare dei complotti di Big Pharma, della “lobby del nucleare cattivo” e dei sistemi di controllo climatico globale. In un paese politicamente attivo come il nostro non è accettabile che un normale cittadino non abbia una minima idea di cosa sia una cellula staminale (oggetto di infinite moratorie che hanno impedito la ricerca in passato), o come funzioni la fissione nucleare (eliminata dal futuro della Svizzera con ragionamenti di pancia), o cosa siano gli OGM (anche qui infinite moratorie che ci danneggiano), o ancora come funzioni il nostro sistema di previdenza sociale (cf. votazione sull’AVS di qualche mese fa, molto complessa e ridotta a un aumento di 70 franchi e all’innalzamento dell’età pensionabile per le donne): si tratta di temi su cui votiamo regolarmente. Insegnarli tutti sarebbe impossibile, purtroppo.

    L’unica soluzione che intravedo? Invece di insegnare la “buona civica”, bisogna insegnare la statistica, il metodo scientifico, un pelino di marketing e soprattutto i meccanismi della retorica. E i ciarlatani smettono di vendere pillole per curare il cancro, mentre i politici muoiono (figurativamente eh!) nell’intento di farci credere che la loro nuova legge è perfetta.

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