Anch’io, come molti concittadini, in questi giorni sono alle prese con la votazione popolare di fine novembre. In particolare mi sono spuntati tanti dubbi sull’iniziativa delle famiglie promossa dall’UDC. Ormai ho imparato che non c’è da fidarsi delle argomentazioni dei favorevoli e dei contrari. Troppe volte, in passato, non ce l’hanno raccontata per intero – e mi son fatto raggirare. Cosa dicono i favorevoli all’iniziativa? Ad esempio che avere figli è una grande responsabilità, che dà molte soddisfazioni, ma richiede anche molto lavoro e sacrifici. E il Consiglio federale, che è contrario? Scrive che «Oggi le famiglie con figli sono trattate in modo equo sul piano fiscale, indipendentemente dal modo in cui accudiscono i figli. Se l’iniziativa fosse accettata, (…) si privilegerebbe il modello di famiglia tradizionale». Va da sé che quando, con una certa sufficienza, si cita la famiglia tradizionale, si fa l’occhiolino alle donne, come a suggerire con malcelato sarcasmo: «Non vorrete mica tornare a far le casalinghe, ora che si è aperto anche per voi il mondo del lavoro retribuito!» Spesso indegnamente.
Nel fascicolo ufficiale che dovrebbe illustrare i termini della questione, compare un’unica volta la parola «educazione». La scrive il Consiglio federale: «Esistono pareri diversi sull’educazione ottimale dei bambini». Ma dài? La parola «economia» e i suoi derivati sono invece presenti sette volte, e a quanto sembra i pareri sono univoci.
Conosco qualche coppia di professionisti che lavorano entrambi. Per lo più riescono anche a occuparsi bene dei figli, che, quando tornano a casa da scuola, trovano qualcuno che li accoglie e si occupa di loro. A volte c’è anche chi fa il bucato, stira, rammenda e tiene pulita la casa. Conosco invece tante altre coppie che lavorano ambedue, non tanto per scelta, ma per imposizione economica: arrivare a fine mese senza affogare. E allora per tirar su i figli ci si arrangia come viene, qualche santo provvederà.
Sarei curioso di sapere quanti sono i bambini delle elementari e i ragazzi delle medie che al loro arrivo a casa, dopo una giornata di scuola, sanno prepararsi la merenda da soli e mettersi a svolgere i compiti scolastici, invece che andar per cortili o attaccarsi a mamma TV o papà internet. Non so, in altre parole, cos’abbia in mente il Consiglio federale quando pensa a un modello di famiglia «non tradizionale». Di certo i servizi para-scolastici – asili-nido, mense, doposcuola – non sono in grado di sostituirsi all’ambiente domestico, magari moderno, non certo affollato. È scorretto fingere che tra il ragazzo che si ferma al doposcuola e il suo coetaneo che rientra a casa ed è accolto da qualcuno – fosse pure la ragazza alla pari, che magari gli chiede com’è andata la giornata – non vi sia una voragine educativa. Non si dimentichi che l’organizzazione scolastica odierna ha funzionato bene per decenni perché poteva interagire con la bistrattata «famiglia tradizionale», che, ad esempio, offriva ai figli uno spazio sereno per svolgere i compiti a casa, così frequenti e onerosi a partire dalla prima media, quando i ragazzi son poco più che decenni.
Si abbia almeno il coraggio, per coerenza, di mandare al macero anche il «modello di scuola tradizionale» e di inventarne uno capace di sottomettersi ai diktat dell’economia e della finanza. Mi sembra invece che si stia operando un massacro educativo di cui, prima o poi, qualcuno dovrà pur rendere conto.