«Meglio il bastone o la carota nell’educazione dei giovani?» È la domanda, invero un po’ accademica, che finge di porsi l’editore Armando Dadò sul numero di aprile del suo mensile illustrato del Locarnese e valli (articolo peraltro ripreso dal GdP del 14 aprile). Fa finta di chiederselo, appunto. Perché Dadò la risposta l’ha bell’e pronta: meglio il bastone, in opposizione al lassismo che ha imperato e conquistato il mondo dell’educazione nell’ultimo quarantennio. Dico subito che convengo appieno sui danni di un certo permissivismo che ha preso piede nel mondo occidentale a partire dagli anni ’60, con il noto Dr. Spock a far da icona di riferimento. Aggiungo però che la pedagogia del bastone, evocata da Dadò, non ha consumato danni minori – e continua a farne. In altre parole, mi dà fastidio questo falso dibattito, così di moda e così in bianco e nero. Aut aut, come se non esistessero, nella teoria e nella pratica, strade migliori, ancorché certamente più difficili da percorrere. Tutta la storia della pedagogia e dell’educazione, che più nessuno studia, è lì a ripetere che vi sono vie migliori per educare. Pestalozzi, a Stans con gli orfani, non usava né bastone né carota. Cercava di educarli, nel senso più profondo del termine. Don Milani, coi suoi contadini di Barbiana, aveva impostato una scuola del riscatto, dove imparare, con l’impegno e il rigore necessari, era più importante che ottenere belle note. La storia della pedagogia è piena di esempi analoghi, da Don Bosco a Freinet a Korczak. Dadò se la prende con Maria Montessori. Scrive: «I progressisti innamorati della scuola Montessori sono inorriditi di fronte al revival di metodi che ritengono oppressivi e destinati ad allevare figli infelici». Cosa significhi questa frase così sibillina non si sa. O Dadò non conosce il lavoro di questa donna straordinaria, oppure si diverte a spargere fumo e menar fendenti sotto la cintura.
È vero che il permissivismo imperante ha creato un fracco di problemi. Ma non ha fatto tutto da solo: ci si son messi l’economia, un mondo sempre più formalizzato e politicamente (s)corretto, una gran confusione indotta dai mass media, sempre pronti a cavalcare la prima moda – citando lo «specialista» di turno, spesso contattato al volo telefonicamente, mentre si sta scrivendo il pezzo e si ha fretta di chiudere e passare ad altro. E poi, diciamola tutta: in alcune famiglie si potranno scegliere il bastone o la carota secondo i propri comodi, tanto, poi, il borsello e le conoscenze di papà sistemeranno tutto. Ci sono figli cresciuti ed educati secondo le convenienze del momento. Sono stati allievi e studenti mediocri. Poi, miracolo!, si sono sistemati benissimo nel loro ruolo di adulti. L’informazione sempre più puntuale ci sta mostrando una lunga catena di figli d’arte nella politica, nello sport, nello spettacolo. A parte il Trota bossiano, tanto per fare un esempio attuale, è recente la notizia che i figli dei Beatles vorrebbero mettersi insieme per dar vita a una nuova band: il successo è pressoché garantito. Naturalmente è tutto talento e lavoro duro. Gli illustri papà non c’entrano nulla, figurarsi. Altrettanto naturalmente, la mia allusione non si riferisce al Ticino, paese in cui il fenomeno, anche grazie ad abitudini politiche e culturali virtuose, non esiste. Di converso ci sono famiglie un po’ meno aristocratiche in cui il bastone o la carota rischieranno di produrre effetti analogamente perversi. Nel primo caso, il bastone perpetuerà l’uso della violenza senza sbocchi: padri e figli continueranno a menarsele di generazione e generazione, senza mai vedere l’uscita del tunnel, nella certezza che ciò possa servire al loro riscatto sociale ed economico. Nell’altro caso, altrettanto spiacevole, la carota darà vita a una stirpe di viziati, quelli del tutto e subito obbligatorio. Cioè a dire: per educare occorrono sogni e, nel contempo, idee chiare. L’educazione è un atto d’amore dei genitori verso i figli e di rispetto della società per i suoi cittadini: non una questione di dare e avere.