L’italiano ha ormai perso conoscenza. E allora? Non è certo la prima preoccupazione del nostro dipartimento dell’educazione – e della cultura e dello sport e del doposcuola e delle mense. Sì certo, qualcosa si farà. Cosa, non è dato sapere. Ma come: la nostra bella lingua italiana – che tanto inchiostro ha fatto scorrere e tante parole ha affidato al vento in questi ultimi mesi, per avversare la chiusura di qualche cattedra universitaria nella Svizzera confederata – la nostra bella lingua, dicevo, non è un tormento di cui curarsi in fretta? Forse…
Non tutti sanno, in effetti, che alla fine del 2002, nel pieno del tumulto provocato dalla decisione del Consiglio di Stato d’introdurre l’insegnamento obbligatorio dell’inglese a partire dalla III media, il nostro DECS aveva istituito in tutta fretta un «Gruppo potenziamento dell’italiano», forse perché accortosi – appunto – che la lingua se non di Dante almeno di Francesco Chiesa destava a dir poco qualche preoccupazione. Hai voglia: a furia di fingere che “l’italiano si pratica e si impara dentro tutte le aule, essendo usato nell’insegnamento di ogni materia”, sarebbe stato un miracolo se fosse riuscito a sopravvivere senza prendere un cronico febbrone da cavallo. Come invece è capitato.
In ogni modo, per l’appunto, ecco lì un bel gruppo di lavoro, con dentro rappresentanti di un po’ tutti i settori scolastici, designati con una bella risoluzione dipartimentale. I commissari speciali non si sono fatti pregare più di tanto: con l’entusiasmo dei giovani, in men che non si dica hanno scodellato il loro bel rapporto, all’indirizzo del direttore del DECS e di quello della divisione della scuola, con l’inevitabile copia a mezzo dipartimento. Il rapporto è un impietoso ritratto di una lingua a pezzi, sia dal punto di vista della quotidianità comunicativa di allievi e studenti – “Gli allievi sono spesso in difficoltà per quanto attiene a un uso funzionale della lingua e dei testi, finendo per scontare queste difficoltà in ogni ambito dell’accesso alla conoscenza” – che sul piano culturale. Come dire: Sono talmente maldestri con l’italiano che non riescono a penetrare nelle altre discipline.
Il documento meriterebbe la pubblicazione integrale, mentre non si capisce come mai dal 4 luglio del 2003 – data della pubblicazione – a oggi nessuno ne abbia parlato. Eppure il rapporto è pubblico, anche se nessuno – nemmeno i membri del gruppo – ha pensato di divulgarlo come si deve: la sua lettura è avvincente e una maggior diffusione avrebbe giovato a tutti. Perché il committente e i commissari stessi si siano improvvisamente fatti tanto pudichi resta un mistero. Forse le stesse proposte finali del gruppo di lavoro – che, a dirla tutta, sono un po’ raffazzonate – li hanno messi in totale imbarazzo: dopo una disamina così acuta, ci si potevano attendere proposte altrettanto sagaci. Invece le scelte terapeutiche sono a metà strada tra l’enunciazione retorica («una chiara scelta di indirizzi della politica della scuola dell’obbligo nel nuovo contesto sociale ed economico, eccetera eccetera») e le solite proposte trite e ritrite, vale a dire le prime che vengono in mente: aumentare le ore e diminuire il numero di allievi.
Fatto sta che intanto l’italiano boccheggia e nessuno se ne cura seriamente. Giustamente il gruppo di lavoro dipartimentale osserva come «debba essere seriamente presa in considerazione la questione – davvero fondamentale – della formazione linguistica degli insegnanti. Ci si può chiedere infatti se nei curricoli oggi previsti (che si tratti di insegnanti comunali o cantonali) è posta sufficiente attenzione agli aspetti linguistici e culturali; ci si può chiedere se […] è sufficientemente considerata, nella professionalizzazione della carriera dell’insegnante, la necessaria competenza linguistico-espressiva e comunicativa. Le risposte purtroppo non possono essere affermative». Insomma, l’italiano non è un malato immaginario: e allora che qualcuno corra ai ripari, sperando che non sia troppo tardi.