Non è chiaro il motivo per cui già il 4 dicembre, cioè tre giorni prima della prevista conferenza stampa, alcuni giornali svizzero-tedeschi abbiano sentito il bisogno di diffondere in anteprima i risultati emersi dall’indagine internazionale che va sotto il nome di PISA 2003. Come forse qualcuno ricorderà, PISA è un programma di valutazione internazionale degli studenti, che a scadenza triennale mette a confronto alcune competenze dei quindicenni di molti paesi. Dopo la pubblicazione del primo rapporto (PISA 2000), un certo scalpore l’aveva destato il magro risultato degli adolescenti svizzeri nell’ambito della lettura: solo il 9% si era piazzato nella fascia più alta delle competenze, contro il 15% del paese migliore (la Finlandia). Nel contempo circa un quinto dei nostri quindicenni era finito nella fascia più bassa della classifica (il 13% dalle parti dell’analfabetismo, mentre il 7% neanche quello), contro un naturale 5+2% finlandese nelle medesime fascia d’incapacità.
Il comunicato stampa ufficiale, diffuso il 7 dicembre dall’Ufficio Federale di Statistica (UFS) anche a nome dalla Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione, stempera in effetti i toni roboanti delle notizie fatte circolare ad arte nei giorni precedenti, quando pressoché tutti i quotidiani hanno riportato un dispaccio dell’ATS che enfatizzava il miglioramento della classifica, al di là dei risultati reali. Chi ha letto distrattamente i giornali del 6 dicembre è certamente giunto alla conclusione che il sistema scolastico svizzero non deve destare soverchie preoccupazioni. Anzi, secondo certi fantomatici addetti ai lavori, genericamente citati dall’ATS, «…questa positiva evoluzione è frutto delle riforme nell’istruzione pubblica e del cambiamento di mentalità tra i docenti». Quali siano le riforme citate non è dato sapere, così come non risultano studi recenti sulla mentalità dei docenti. E poi: da quando in qua sarebbe possibile rimettere in sesto un bastimento smisurato e complesso come la scuola nel giro di due o tre anni? E ancora: se la memoria non m’inganna, le riforme più importanti del passato prossimo hanno riguardato le lingue straniere, con particolare riferimento all’inglese, che sta diventando concretamente la lingua franca di tutta la Svizzera; mentre altre riforme di un certo peso risalgono agli anni ’90 – e non si può dire che tutto fili via liscio come l’olio, anche grazie alla mentalità di certi docenti e dei loro sindacati.
Di fatto, i primi dati presentati in margine a PISA 2003 dicono sì che la Svizzera ha migliorato la sua classifica; ma dicono anche che, ad esempio nella lettura, le variazioni delle capacità non siano granché cambiate. Nella fascia dell’analfabetismo e giù di lì ha preso casa il 16% dei quindicenni, mentre in quella alta è finito un 1% in più rispetto a tre anni fa. Un rendimento stabile, quindi, tanto che il comunicato stampa dell’UFS ammette onestamente che «la dispersione tra deboli e forti rimane relativamente ampia» e che «gli eventuali cambiamenti introdotti nell’insegnamento della lettura potranno essere osservati soltanto a lungo termine»: resta da stabilire qual è la risposta precisa a quell’incauto «eventuali» anteposto ai «cambiamenti».
Il comunicato dell’UFS, infine, butta lì con una frasetta una constatazione su cui tutti dovrebbero riflettere con serietà e rigore: «Dalle analisi emerge che i modelli scolastici “cooperativi”, caratterizzati dal raggruppamento degli allievi di livelli diversi all’interno di una stessa classe di grado secondario I, riescono a compensare meglio le disparità sociali rispetto ai modelli “selettivi”»: l’eterogeneità, dunque, è pagante, molto più delle apartheid pedagogiche, che tendono a separare i buoni dai cattivi, senza rendersi conto che gli ultimi peggiorano e i primi non migliorano. Alla faccia dei livelli della nostrana scuola media, che hanno superato indenni anche la troppo strombazzata Riforma 3.